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Miguel Ángel Asturias, Week-end in Guatemala

Nel giugno del 1954, preceduto dai bombardamenti di aerei Usa e da una campagna montata dalla United Fruit Company, con il sostegno finanziario e logistico della Cia, un esercito di mercenari entrava in Guatemala dall’Honduras, stroncava la resistenza popolare e poneva fine all’esperimento di governo democratico di Jacobo Arbentz. Due anni dopo, dal suo esilio a Buenos Aires, Miguel Ángel Asturias pubblicava Week-end in Guatemala, che di quegli eventi costituisce un doloroso reportage e una potente trasfigurazione letteraria.

Cinquant’anni dopo questo è uno dei pochi «libri antimperialisti» che reggono benissimo la prova del tempo, e non solo, sfortunatamente, perché dalla convincente fusione di materiali simbolici, storici, onirici, narrativi e linguistici risulta un affresco che trascende il semplice dato politico per fondare una poetica, il «realismo magico dell’amarezza».
Sapiente affabulatore, vate visionario, intrepido sperimentatore, con Week-end in Guatemala Asturias ha scritto un libro che sfugge a una precisa classificazione (né romanzo né raccolta di racconti), e la cui unità tematica – il tragico avvenimento storico – è illuminata da diverse angolature, corrispondenti sempre al punto di vista del narratore, che presta voce però a personaggi assai diversi. Fra gli altri: un sergente americano sbronzo che viene derubato di un carico d’armi, il Milocho, guida turistica guatemalteca prototipo del terrorista globale, che si lancia nel vuoto con il suo autobus carico di gringos, la prostituta Caimana, «un pezzo di donna color tamarindo, di quelle che si appiccicano al maschio come una decalcomania», il cui cadavere diventa la vedette di una campagna propagandistica del nuovo governo.
Asturias fu davvero sorpreso quando gli fu assegnato il Nobel nel 1966 («lo daranno a Borges perché è di destra, a me e Neruda mai»), ma non poteva certo sospettare le sottili strategie culturali di quelli che la stampa compiacente continua a chiamare «gli allegri bricconi» di Stoccolma. Decisamente sospetto, comunque, l’oblio in cui l’editoria ha lasciato cadere le sue opere, mentre è disposta a grattare il fondo del barile di un autore da tempo esausto come García Márquez. Rileggo il capitolo «Tutti americani!», e la mia paranoia mi suggerisce una possibile spiegazione: Asturias non sarà un autore un po’ troppo attuale? «Un cittadino [americano}, per il solo fatto di esserlo, dev’essere rispettato in tutti gli angoli della terra e può permettersi il lusso della vendetta collettiva, spettacolare, planetaria…»
Miguel Ángel Asturias, Week-end in Guatemala, tr. di Emilia Perassi, Viennepierre edizioni.

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