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Andrés Barba, Piccole mani

Che il mondo dell’infanzia non fosse una nuvoletta rosa di zucchero filato ce lo avevano detto, ben prima di Freud, numerose favole. In un Vangelo apocrifo persino Gesù, da bambino, ammazza un compagno di giochi che lo ha fatto arrabbiare (salvo resuscitarlo dietro insistenza dei genitori). A ricordarci l’innocente crudeltà che può allignare tra i bambini arriva questo bel romanzo breve di Andrés Barba – scrittore inserito nell’antologia di “Granta” dedicata alla nuova narrativa di lingua spagnola –, che appartiene a una serie ideale che annovera Il signore delle mosche di William Golding e I ragazzi terribili di Cocteau.

Marina è sopravvissuta a un incidente stradale in cui ha perso entrambi i genitori: “Tuo padre è morto sul colpo, tua madre è in coma”. La psicologa che le comunica che dovrà andare in un orfanotrofio (“una casa nuova, vedrai, con altre bambine, un posto bellissimo”) le regala una bambola, alla quale Marina da il proprio nome. Ma la sua presenza provoca scompiglio fra le piccole orfanelle: “Tutto quello che le stava intorno si contaminava, noi comprese”.

L’oscura minaccia presente nel tragico passato di Marina spezza l’incantesimo di giornate scandite da rassicuranti rituali quotidiani e suscita sentimenti contrastanti nei suoi confronti. Così le tirano i capelli, le fanno le linguacce, e una notte le rubano la sua bambola, ed è come se qualcosa si spezzasse dentro di lei.

Marina scopre la propria diversità. Ma se la scoperta si rivelasse tanto grande da sopraffarla? Allora si inventa un gioco inquietante e perfido: ogni notte, quando le luci si spengono, sceglie una bambina che diventerà la bambola di tutte: “Starà ferma e non potrà parlare… potremo giocare con lei e darle baci e dirle i nostri segreti”. E qui mi fermo per non guastare il piacere della lettura di questa favola dell’orrore, raccontata con uno stile asciutto ed efficace che scolpisce frasi cristalline, in una traduzione ispirata ed esatta.

 

(Traduzione di Antonella Donazzan per Atmosphere.)

 

(Pubblicato su Pulp n. 92, luglio-agosto 2011.)

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