Bellatin, Bellatin traduzioni, Traduzioni

Poeta cieco

In uno scritto del Quadernetto delle Cose Difficili da Spiegare, il Poeta Cieco parla di un certo fatto accaduto di notte in un’istituzione conosciuta come la Cittadella Finale. Quell’edificio situato in periferia, dove rinchiudono forzatamente le persone colpite da malattie contagiose, fu costruito al fine di evitare che l’infezione si diffondesse nella popolazione. Lo scritto del Poeta descrive una società nella quale gli abitanti accettano volentieri la reclusione e molte volte rifiutano il libero arbitrio. Alcuni cittadini chiedono addirittura di essere confinati. Lo fanno perché dentro le condizioni di vita sono meno difficili che all’esterno, perché per far tacere le proteste suscitate da questo metodo, i reclusi sono dotati di vantaggi su cui non possono contare le persone sane. Molti dei confinati sono giovani con dipendenze, anche se nella Cittadella il consumo di droghe è proibito. Nel Quadernetto il Poeta Cieco parla del traffico di sangue infetto – che ricevono quelli che vogliono avere un motivo per essere internati – in cambio di consegne di anfetamine che vengono introdotte attraverso le maglie della rete metallica. La Cittadella Finale è circondata da una recinzione metallica che l’umidità ha fatto arrugginire. Durante la notte d’estate a cui si riferisce il Poeta Cieco nel Quadernetto delle Cose Difficili da Spiegare, un membro della Banda degli Universali si avvicina all’istituto insieme a uno dei suoi più vecchi cani da combattimento. Il Poeta chiama Banda degli Universali i gruppi di giovani nelle città industrializzate che il sistema relega nei sobborghi. Una volta che si trova davanti alla rete, l’Universale di cui parla il Poeta Cieco si toglie la maglietta, gli stivali militari e gli strettissimi calzoni gialli che indossa. Il corpo pallido rimane nudo sotto la luce di una luna che illumina un campo deserto. Conserva soltanto dei bracciali da cui sporgono punte d’acciaio. Il cane da combattimento al suo fianco comincia a emettere lievi gemiti. Lo fa segnalando con il muso l’interno della Cittadella. Il cane ha soltanto un occhio. Sul dorso presenta dei tagli che si è fatto durante qualcuno dei tanti combattimenti a cui è stato costretto. Si innervosisce nel sentire che alcune persone si avvicinano dall’altro lato. Compaiono tre giovani di età simili a quella dell’Universale. Come tutti i reclusi, indossano una tuta blu scura sulla quale è cucito lo stemma della Cittadella Finale. Gli domandano se ha portato le pastiglie. Dicono inoltre che non era necessario che si togliesse gli indumenti. L’Universale non risponde. Dà al cane l’ordine di calmarsi. Consegna una serie di flaconi e poi offre la vena del braccio destro avvicinando maggiormente il corpo alla recinzione. Uno dei reclusi estrae dalla tasca una siringa piena di una sostanza scura. Attraverso le maglie, l’Universale riceve il sangue infetto senza fare una piega. I reclusi scompaiono nella penombra. Prima assicurano all’Universale che non c’è possibilità di errore. Hanno mischiato il sangue dei tre. Nel vederli correre, il cane fa un balzo. Vuole inseguirli. Emette un paio di lamenti prima di zittirsi ancora. L’Universale guarda il segno che l’ago gli ha lasciato sul braccio. Dopo aver passato le dita sul punto scelto, allontana il cane e si veste lentamente. Indugia nel mettersi gli stivali. Poi raccoglie la siringa abbandonata per terra e con un movimento brusco la getta dall’altro lato.

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Lillo, Lillo traduzioni, Traduzioni

Caccia Grossa

Nell’ampia e arida pianura i raggi del sole fanno seccare l’erba che cresce fra la boscaglia, i cui rachitici arbusti intrecciano rasoterra i propri deboli rami con le spirali contorte dei parassiti dalle foglie secche e polverose.

Sui sentieri spogli brucia la sabbia nera e grossa, e fra i cespugli si sente il rumore provocato dalle bisce e dalle lucertole che, stanche di luce e calore, strisciano in cerca di un po’ d’ombra tra gli scarni rami delle murtillas 1 e i gambi dei cardi dritti e inariditi.

Con la schiena curva e il fucile fra le mani tremanti, Palomo, un vecchietto piccolo e secco come una nocciola, con passi corti sulle gambe esitanti segue le tracce che il passaggio delle pernici lascia sulla sabbia calcinata dei sentieri.

Non c’è nessuno bravo come lui a individuare fra mille l’orma fresca e recente, e a riconoscere se la preda è un maschio o una femmina, un pulcino o un adulto. Solo, senza parenti che proteggano la sua vecchiaia inerme, con il ricavato della caccia soddisfa a malapena i bisogni più urgenti.

I raggi del sole, cadendo a picco sulla sua schiena curva, rendevano più penoso camminare su quel terreno molle e infido. Era esausto e ancora non aveva sparato un colpo quando d’improvviso si drizzò, fermandosi davanti a una macchia di rovi e litres 2 bassi: le tracce che aveva pazientemente seguito finivano lì. Girò intorno alla macchia osservando con attenzione il terreno per assicurarsi che il volatile non fosse fuggito da un’altra parte e, dopo aver azionato il cane del fucile, scrutò fra i rami allungando il collo e alzandosi sulla punta dei piedi.

Le tre dita impresse sulla sabbia e protese in avanti come un ventaglio segnalavano un maschio superbo.

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Nostra Signora dei Sullivan
di Gianfranco Mammi

Mi è capitato di leggere tempo fa – ma non sono riuscito a verificare la notizia – che, fra le svariate clausole dei trattati di pace firmati dall’Italia dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, fu sottoscritto anche l’impegno ad acquistare dagli Usa una impressionante quantità di produzioni cinematografiche e televisive fino al 2050. Da un certo punto di vista la cosa è mostruosa, ma chiarisce perché, fin da bambino, sono stato travolto da una valanga di film e telefilm che avevano come protagonisti cowboy e pellirosse, astuti detective e perversi serial killer, sceriffi di solito razzisti, grassi e sudati, avvocati logorroici e giudici spesso corrotti, medici impareggiabili e infermiere quasi sempre sexy… (Incidentalmente, ne ho dedotto che gli statunitensi erano attenti lettori di Gramsci e delle sue teorie sull’egemonia culturale.)

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Il premio Formentor a César Aira

I membri della giuria del Premio Formentor de las Letras, Anna Caballé, Francisco Ferrer Lerín, Gerald Martin, Juan Antonio Masoliver Ródenas e il presidente Basilio Baltasar, riuniti a Siviglia, dopo aver valutato e considerato i meriti degli scrittori presentati dalla giuria, e tenuto conto del significato e del valore delle loro opere, hanno rilevato i risultati e le virtù letterarie dell’autore che riceverà il Premio Formentor de las Letras 2021.

Per l’incessante impeto narrativo, per la versatilità della sua interminabile testimonianza e per l’ironia ludica della sua fervida immaginazione, la giuria assegna il Premio Formentor de las Letras 2021 allo scrittore César Aira.

La struttura labirintica della sua opera è stata ritenuta un immenso crogiolo letterario per le figure della cultura popolare, i personaggi della finzione narrativa e i motivi visivi dell’Arte.

La scrittura di Aira adotta tecniche di cui il rigore, la freschezza e la fluidità ricordano la chiave jazzistica dell’improvvisazione artistica. Sulle strutture invisibili dell’ispirazione, l’autore costruisce scenari e voci che smuovono e alimentano la perplessità del lettore.

Le convenzioni spazio-temporali, paradigma che regola il mestiere dello scrittore, si presentano nell’opera di Aira come formalità secondarie, spesso sostituite da esplosioni e fulgori, tecniche e licenze al servizio di una dirompente inventiva.

È lodevole che la sua fertile creatività letteraria accolga le figure di un immaginario grottesco, surreale, oscuro e trasparente, sorprendente e sconosciuto, imprevedibile e inatteso. L’opera di César Aira conferma la certezza della tradizione romanzesca secondo la quale attraverso la letteratura si possono intravedere le vere possibilità dell’esistenza.

Il simulacro stilistico della sua coscienza letteraria fa dell’umorismo un settimo senso, della parodia, la più riverente delle adorazioni, e della finzione romanzesca, un monumentale elogio dell’ingegno umano. César Aira adotta i compromessi estetici dell’artista e dimostra un’incrollabile lealtà ai desideri più intimi dello spirito creativo.

Il racconto intrapreso da Aira a partire dalle prime pubblicazioni, il centinaio di romanzi scritti dall’autore argentino, la sua feconda e perseverante creatività, costituiscono un’audace favola del mondo postmoderno e confermano l’arte poetica di uno straordinario equilibrismo estetico: le sue continue variazioni letterarie hanno fatto della sua scrittura un’inesauribile fonte di godimento, piacere e stupore.

Per tutto questo, per i suoi meriti, i suoi risultati e le sue virtù letterarie, la giuria concede a César Aira il Premio Formentor de las Letras 2021.


Siviglia, 11 aprile 2021

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Madame Pignou

Mme. Pignou si fermò estasiata davanti alla vetrina di uova pasquali all’angolo fra Henri-Monnier e Victor Massé. Era da una settimana che non mangiava, non per mancanza di pane, certo, ma per golosità. Non comprava mai più di un uovo di pasqua ogni anno e digiunava per una settimana, leccandosi i baffi davanti a tutte le vetrine del distretto 9 prima di scegliere l’uovo di pasqua dei suoi sogni. Questo era quello giusto. Prese dalla loro custodia, che teneva nella vecchia borsa di pelle nera, un paio di occhiali per guardare i prezzi. Si domandò se cento voleva dire dieci franchi o mille e finalmente, ormai decisa, entrò nella pasticceria facendo squillare il campanello della cassa, che in quel momento era deserta. Una giovane prostituta, dal colorito fresco e con un barboncino sotto il braccio, entrando quasi nello stesso istante, per poco non la travolgeva. «Voglio una pizza» disse alla pasticciera, che usciva in quel momento dal retrobottega. La pasticciera avvolse la pizza in un pezzo di carta e gliela diede dicendo: «Tre franchi e cinquanta, grazie». L’altra prese la pizza e cominciò a mangiarla, dando le briciole al barboncino. «Lei che uovo di pasqua mi consiglia?» domandò Mme. Pignou alla pasticciera. «Dipende dall’età» rispose quella. «È per me» disse Mme. Pignou e sentì la risata della prostituta alle sue spalle. Mme. Pignou si voltò, indignata. «Signorina» disse la pasticciera, «le pizze si mangiano fuori, mi faccia il favore.» La giovane prostituta uscì, spingendo con un gomito la porta a vetri, e con il cagnolino nell’altra mano. «Io avevo pensato all’uovo al centro» disse pensierosa Mme. Pignou, «quello con il nastro rosa.» La pasticciera andò a prenderlo. «Ma questo è intollerabile!» gridò arrivando alla vetrina, «la ragazza sta facendo pisciare il suo cane sul mio marciapiede!» E uscì dalla pasticceria apostrofando la giovane prostituta. Mme. Pignou si avvicinò alla vetrina, ma non riuscì a sentire niente. La pasticciera gesticolava, il barboncino la morsicò al polpaccio, la giovane prostituta lo prese e fuggì con lui verso rue Frochot.

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