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Il premio Formentor a César Aira

I membri della giuria del Premio Formentor de las Letras, Anna Caballé, Francisco Ferrer Lerín, Gerald Martin, Juan Antonio Masoliver Ródenas e il presidente Basilio Baltasar, riuniti a Siviglia, dopo aver valutato e considerato i meriti degli scrittori presentati dalla giuria, e tenuto conto del significato e del valore delle loro opere, hanno rilevato i risultati e le virtù letterarie dell’autore che riceverà il Premio Formentor de las Letras 2021.

Per l’incessante impeto narrativo, per la versatilità della sua interminabile testimonianza e per l’ironia ludica della sua fervida immaginazione, la giuria assegna il Premio Formentor de las Letras 2021 allo scrittore César Aira.

La struttura labirintica della sua opera è stata ritenuta un immenso crogiolo letterario per le figure della cultura popolare, i personaggi della finzione narrativa e i motivi visivi dell’Arte.

La scrittura di Aira adotta tecniche di cui il rigore, la freschezza e la fluidità ricordano la chiave jazzistica dell’improvvisazione artistica. Sulle strutture invisibili dell’ispirazione, l’autore costruisce scenari e voci che smuovono e alimentano la perplessità del lettore.

Le convenzioni spazio-temporali, paradigma che regola il mestiere dello scrittore, si presentano nell’opera di Aira come formalità secondarie, spesso sostituite da esplosioni e fulgori, tecniche e licenze al servizio di una dirompente inventiva.

È lodevole che la sua fertile creatività letteraria accolga le figure di un immaginario grottesco, surreale, oscuro e trasparente, sorprendente e sconosciuto, imprevedibile e inatteso. L’opera di César Aira conferma la certezza della tradizione romanzesca secondo la quale attraverso la letteratura si possono intravedere le vere possibilità dell’esistenza.

Il simulacro stilistico della sua coscienza letteraria fa dell’umorismo un settimo senso, della parodia, la più riverente delle adorazioni, e della finzione romanzesca, un monumentale elogio dell’ingegno umano. César Aira adotta i compromessi estetici dell’artista e dimostra un’incrollabile lealtà ai desideri più intimi dello spirito creativo.

Il racconto intrapreso da Aira a partire dalle prime pubblicazioni, il centinaio di romanzi scritti dall’autore argentino, la sua feconda e perseverante creatività, costituiscono un’audace favola del mondo postmoderno e confermano l’arte poetica di uno straordinario equilibrismo estetico: le sue continue variazioni letterarie hanno fatto della sua scrittura un’inesauribile fonte di godimento, piacere e stupore.

Per tutto questo, per i suoi meriti, i suoi risultati e le sue virtù letterarie, la giuria concede a César Aira il Premio Formentor de las Letras 2021.


Siviglia, 11 aprile 2021

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I fantasmi, il gotico surreale di César Aira

Los fantasmas, nella nutrita bibliografia delle opere di Aira, è il primo romanzo ambientato nel quartiere di Flores, a Buenos Aires, dove l’autore vive. Inaugura dunque quello che la critica ha chiamato il suo “ciclo urbano”, proseguito poi con La guerra de los gimnasios, La abeja, El sueño, Las noches de Flores, ecc. Il romanzo uscì in Argentina nel 1990, ma la sua stesura, come si evince dalla data in calce, fu ultimata il 13 febbraio 1987. (In fondo a ogni romanzo di Aira si trova una data, quasi a comporre un ideale diario; nel 1987 ne scrisse altri tre: El bautismo, La liebre ed Embalse, fra l’altro consistenti come numero di pagine, segno di un’irrefrenabile vena creativa.)

Los fantasmas presenta alcuni aspetti tematici che lo avvicinano agli altri romanzi “urbani”, ma per limitarsi al punto di vista stilistico vale la pena notare soprattutto una “voglia di realismo” che si manifesta nelle dettagliate descrizioni degli spazi e delle atmosfere, e nelle notazioni sociologiche e di costume. In quegli anni Aira non aveva ancora maturato l’insofferenza per i “tratti circostanziali”, si impegnava a “scrivere bene”, senza sacrificare tutto all’idea centrale della narrazione, e ci ha regalato narrazioni molto godibili, raffinate, ricche di fioriture poetiche, sia quando immerge il lettore nella favolosa e sterminata pampa argentina, come in La liebre, sia quando lo scenario in cui si sviluppano le sue imprevedibili narrazioni è lo spazio ancora indefinito di un edificio in costruzione, come nei Fantasmi. (Spazio che gli consente, fra l’altro, di aprire un’ampia digressione – un’altra costante nella sua opera – sul tema dell’architettura, con excursus di sapore enciclopedico e antropologico sulle concezioni architettoniche di culture esotiche.)

Aira introduce i suoi fantasmi – niente lenzuoli, si tratta di uomini nudi coperti di calce – quasi di soppiatto, tanto che la loro menzione può sfuggire a un lettore poco attento: nel viavai di gente che sale le scale sbuffando – gli ascensori devono ancora essere installati e l’afa è soffocante –, “altri non dovevano sobbarcarsi quella fatica: salivano e scendevano fluttuando, persino attraverso i pavimenti”. La seconda apparizione è altrettanto fugace e inspiegabile: “Sul bordo dell’antenna […] erano seduti tre uomini completamente nudi, il viso rivolto al sole di mezzogiorno; naturalmente, nessuno li vide”. Con la terza apparizione, quando per la prima volta vengono chiamati “fantasmi”, si esce definitivamente dai rassicuranti binari della verosimiglianza e il lettore viene trascinato nel vertiginoso universo di Aira: “Un muratore che passava per caso […] allungò la mano libera e senza fermarsi afferrò il pene di uno di loro, tirandolo mentre continuava a camminare. Il pene si allungò fino a due metri, tre, cinque, dieci, fino al marciapiede. Quando il muratore lo lasciò andare, tornò al suo posto con uno schiocco dagli strani suoni armonici […] I due fantasmi moltiplicarono le risate incontenibili, più forti che mai”.

A questo punto al lettore rimangono due alternative: o, sentendosi defraudato di qualcosa, getta via il libro imprecando contro l’autore e l’editore, oppure comincia a piegare le labbra in un sorriso di meraviglia e decide di arrendersi e di lasciarsi condurre in un’avventura che gli riserverà ben altre sorprese.

Intanto il racconto prosegue con la descrizione della vita all’interno dell’edificio in costruzione: i preparativi per la cena di Capodanno, gli ultimi acquisti al supermercato – i supermercati sono uno dei luoghi prediletti della narrativa di Aira, si pensi a Il marmo –, ma solo i bambini e i cileni (lavoratori immigrati con le loro famiglie) vedono i fantasmi, sempre sarcastici e ridanciani, invisibili per tutti gli altri. I bambini sono alle prese con i loro giochi, affidati alle cure di Patricia, una ragazza quattordicenne che vive il tumulto sessuale tipico della sua età ed è intrigata dalla presenza dei fantasmi e dai discorsi della madre sui “veri uomini”. Del resto, i fantasmi ricambiano la sua curiosità, tanto da rivolgerle la parola per invitarla alla loro festa di Capodanno.

Per tacere, ovviamente, del finale – dirò solo che io l’ho trovato agghiacciante, il punto in cui I fantasmi rientra a pieno titolo nel genere “gotico” cui rimanda fin dal titolo –, concluderò con qualche osservazione dal punto di vista del traduttore. Tradurre Aira è un compito “facile” solo in apparenza. È vero che lui ha affermato di aver scelto un linguaggio volutamente piano e semplice per non complicare troppo la vita al lettore, che già deve districarsi nelle trame spericolate delle sue novelitas, ma le “idee” che sgrana via via, spesso sul filo del paradosso, sono tutt’altro che facili da interpretare, talvolta restano un po’ enigmatiche o ambigue, il che non toglie loro un certo fascino. Nei Fantasmi, in particolare, si incontrano difficoltà di esegesi nella digressione sull’architettura, così come si presentano problemi nella presentazione della sottile dialettica argentini/cileni, con le loro diverse mentalità, usi e costumi, ecc., talvolta di non immediata comprensione per un lettore straniero. Ma lo scoglio principale consiste forse nella resa dei passi dove soffia con maggiore forza una brezza poetica, e in questo caso il traduttore, dopo aver cercato di fare del suo meglio, deve suggerire al lettore di leggersi l’originale.

 

(Pubblicato sul blog di Sur.)

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César Aira, Come diventai monaca

In un omaggio a Herman Melville in occasione del centocinquantesimo anniversario della pubblicazione di Moby Dick, César Aira – che per molti anni ha esercitato la professione di traduttore – scriveva: «La prima frase di Moby Dick, “Call me Ismael”, è il “c’era una volta” del romanzo moderno. La tradizione popolare l’ha resa celebre come modello di incipit eloquente, insuperabile e soprattutto inimitabile. Per i traduttori di Melville quella frase iniziale è un eterno problema. C’è chi ha detto che gli è costata più lavoro di tutto il resto, che non è poco. È uno di quei casi in cui manca il contesto, e nel contempo ce n’è fin troppo». Sulla scia di alcune acute osservazioni condotte sul filo del paradosso, Aira alla fine proponeva di tradurre così: «Mi viene in mente un’altra soluzione, talmente ovvia in realtà che non mi stupirei se qualcun altro l’avesse già proposta: “Potete darmi del tu”, o “Puoi darmi del tu”».

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César Aira e la traduzione

Forse non tutti sanno che per trent’anni César Aira ha esercitato il mestiere di traduttore. Da ben quattro lingue: francese, inglese, italiano e tedesco. Ancor più sorprendente, forse, il fatto che abbia affrontato questo impegno da autodidatta. Nel corso del tempo, in diverse interviste ha poi rilasciato dichiarazioni su questo aspetto della sua biografia. Ho provato a riunirne alcune delle più significative, e nella seconda parte di questa nota troverete un’ampia selezione. Prima però vale la pena accennare all’importanza che assume il tema della traduzione nei suoi romanzi. Del resto, non poteva essere diversamente, in un autore che confessa di scrivere prendendo spunto da ciò che gli  capita giorno per giorno. La particolare concezione della traduzione di Aira – non equivalenza, ma trasformazione – permetterà anche di contestualizzare certe sue affermazioni assai poco ortodosse, al limite della provocazione intellettuale.

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