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César Aira, Il mago

«Tutti sognano di avere dei “poteri”, ma nessuno pensa seriamente a cosa farne nella pratica.» Nessuno eccetto Hans Chans, mago argentino che possiede una facoltà unica: in scena non ha bisogno di trucchi né di assistenti, perché lui è un vero mago: gli basta desiderare qualcosa perché si realizzi, che si tratti di attraversare un muro o di «far galleggiare a mezz’aria sopra la testa degli spettatori ippopotami di nichel a grandezza naturale». Ma la logica del desiderio è perversa: pur essendo in grado di battere «quell’imbecille di David Copperfield», finora Chans si è limitato a copiare i numeri degli illusionisti, trattenuto da mille dubbi e paure, ed è «diventato uno dei tanti maghi di professione». Questa volta, però, ha deciso di presentarsi a un congresso internazionale a Panama per essere riconosciuto come «il Miglior Mago del Mondo».
Per cominciare, deve escogitare il numero destinato a consacrarlo, ma per questo conta sulla sua capacità d’improvvisare. («L’improvvisazione è l’arte della felicità», ha scritto altrove Aira) e soprattutto, impresa quasi disperata, deve trovare un programma con l’ora del suo spettacolo. Intanto, accompagnato da un giovanotto che si mette al suo servizio, visita le bellezze turistiche della città, compreso il fanoso Canale, senza rendersi conto d’indossare sempre l’abito di scena. Sta di fatto che l’unica magia cui assisteremo è il volo di uno spazzolino da denti della stanza d’hotel, seguito da un dialogo surreale con rasoio, saponetta e schiuma da barba. E nemmeno ci si aspetti un approfondimento psicologico del personaggio.
In previsione dello sconcerto che coglierà qualche lettore, e senza rivelare il finale, dove si svela la metafora, basterà dire che questo testo singolare è un raro omaggio alla scrittura da parte di un autore considerato fino a pochi anni fa (con una cinquantina di romanzi pubblicati) «il segreto meglio custodito della letteratura argentina». Bisognerà riparlarne.

 

César Aira, Il mago, tr. di Michela Finassi Parolo, Feltrinelli 2006.

(Pubblicato su Pulp, n. 61, maggio-giugno 2006)

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