Bolaño, Bolaño recensioni, Recensioni

Bolaño: 13 minirecensioni

Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce (con A. Porta)

(Consejos de un discípulo de Morrison a un fanático de Joyce, 1984)

 

L’esordio editoriale di Bolaño nella narrativa, dove compaiono già alcune costanti dell’opera futura: una trama poliziesca, d’azione, violenta, su cui si innestano le preoccupazioni metaletterarie dell’autore e da cui emergono le sue passioni viscerali. Una storia d’amore tossico intrisa di nichilismo fra una coppia di giovani balordi che si dedicano a imprese stile Arancia meccanica nella Barcellona degli anni Ottanta. Per lei finirà male, mentre il romanzo non finisce come il lettore si aspetterebbe, ma con un’appendice di lettere. Segue un breve racconto di analoga ispirazione, “Diario di un bar”. Lo scrittore catalano coautore del romanzo ne illustra la genesi in una nota finale.

 

La pista di ghiaccio

(La pista de hielo, 1993)

 

Un sorvegliante notturno di camping dall’animo poetico che si innamora di una giovane borderline. Un’affascinante e capricciosa pattinatrice. Un politico affarista catalano talmente cotto di lei da attrezzarle una pista di ghiaccio personale per gli allenamenti. Un cileno che ha esercitato ogni tipo di mestiere e che se la porta a letto di nascosto. Tre diverse versioni per l’omicidio (la parola compare nella prima pagina) di una vecchia barbona perpetrato in un paesino della costa catalana. Con La pista di ghiaccio, uno dei suoi romanzi “polifonici”, Bolaño gioca con il genere poliziesco, seminando false piste per il lettore, l’unico interessato a conoscere la verità. Di poliziotti, comunque, neanche l’ombra, nemmeno dopo la confessione dell’assassino. Il romanzo forse più “classico” di Bolaño, che senza rinunciare ai rimandi autobiografici e ai suoi personaggi di latinoamericani persi nel mondo ha creato un perfetto marchingegno narrativo.

 

La letteratura nazista in America

(La literatura nazi en América, 1996)

 

“Quando parlo degli scrittori nazisti d’America in realtà sto parlano del mondo a volte eroico, e molto più spesso canagliesco, della letteratura in generale.” Il primo libro di Bolaño conteso dagli editori, l’irruzione di una proposta estetica anarchica destinata a scuotere il canone letterario latinoamericano dal torpore degli anni Ottanta e Novanta. In modo assolutamente verosimile – per la coerenza interna del discorso e la presenza sullo sfondo di vicende e scrittori reali – si ricostruisce l’esistenza di un movimento letterario fittizio, con tanto di biografie degli autori, giudizi critici e apparato bibliografico. Maneggiando con raffinatezza di stile e perversa ironia il linguaggio di saggi letterari, manuali e recensioni, Bolaño riesce a far assurgere la letteratura – una delle tematiche ricorrenti e cruciali della sua narrativa – a personaggio romanzesco. Ma siamo ben al di là del gustoso divertissement letterario alla Borges: l’ultima biografia (quella dell’infame Carlos Rodr í guez Hoffman) ci getta nell’incubo della relazione fra la letteratura e il male.

 

Stella distante

(Estrella distante, 1996)

 

Come in La pista di ghiaccio e nei successivi Detective selvaggi e 2666, anche in Stella distante c’è un accenno di trama poliziesca: la ricerca di uno scrittore (un poeta sui generis che scrive versetti biblici in latino con i gas di scarico del suo aereo) sospettato di crimini nefasti. E come nei Detective selvaggi a dargli la caccia è Arturo Belano, l’alter ego dello scrittore che compare in tanti romanzi e racconti. Del resto, anche il protagonista, Carlos Wieder, è una vecchia conoscenza: l’Hoffman di La letteratura nazista. Poeta avanguardista cileno, nazista, torturatore all’epoca del golpe di Pinochet, esteta della crudeltà, alla fine Wieder viene rintracciato a Parigi dove gira snuff-movies. Stella distante tocca un tema centrale nella narrativa di Bolaño: la relazione fra l’arte e la barbarie. È un romanzo raggelante sulle atrocità del potere dello Stato quando si fa orrore, e sulla miseria degli artisti amorali asserviti a questo potere. Ma senza prediche moralistiche e senza retorica.

 

Chiamate telefoniche

(Llamadas telefónicas, 1997)

 

Quattordici racconti divisi in tre sezioni tematiche: la letteratura, i detective, le relazioni sentimentali. Alcuni hanno una forte impronta biografica, come “Sensini”, storia di uno scrittore in esilio che tira a campare vincendo premi letterari di provincia con lo stesso racconto (cui cambia solo il titolo), o “I detective”, dove Bolaño rievoca il suo breve arresto in Cile dopo il golpe. Alcuni sono scritti in prima persona, in altri – anticipazione di una tecnica narrativa utilizzata soprattutto nei due romanzi più ponderosi – la voce narrante si separa dal protagonista, aprendo in tal modo uno spazio impensato, e non sempre comodo, di interpretazione per il lettore. Si aggirano nelle pagine del libro come in un incubo, insieme all’immancabile Arturo Belano, personaggi inquietanti come Rogelio Estrada, cileno esule nell’Urss in disfacimento, scagnozzo di mafiosi e assassino, o Joanna Silvestri, attrice porno che assiste all’agonia di un collega malato di Aids.

 

I detective selvaggi

(Los detectives salvajes, 1998)

 

L’opera pluripremiata valsa a Bolaño la fama internazionale e che basterebbe da sola a farne il miglior scrittore in lingua spagnola della sua generazione. Romanzo-fiume polifonico che abbraccia un periodo di vent’anni (1976-96) e narra le vicende di due poeti “realvisceralisti” sulle tracce di una poetessa messicana d’avanguardia degli ani Venti. Strutturato in tre parti – il diario dell’iniziazione sessuale e letteraria di un ventenne aspirante scrittore, le testimonianze di amici e conoscenti sui due protagonisti, e il viaggio nel deserto di Sonora in cerca della poetessa – I Detective selvaggi presenta voci, registri stilistici e generi differenti. Decine di microstorie (d’amore, poliziesche, d’avventura, di fallimenti) s’intrecciano per ricreare il mondo dell’innocenza perduta e il disincanto dalle illusioni giovanili, e per darci il ritratto di una generazione di latinoamericani che non è passata indenne dagli insulti dell’epoca in cui le è toccato vivere.

 

Amuleto

(Amuleto, 1999)

 

Auxilio Lacouture, la voce monologante di Amuleto, è un’uruguayana che resta rinchiusa per giorni nei bagni dell’università di Città del Messico durante l’occupazione poliziesca nel 1968, a difendere simbolicamente uno spazio di libertà. E trascorre quel tempo rievocando episodi della sua vita. Il romanzo più “lirico” di Bolaño, cui si addicono queste malinconiche parole dell’autore: “Tutto quello che ho scritto è in gran parte una lettera d’amore o di addio alla mia generazione, a quelli, nati come me negli anni Cinquanta… abbiamo dato quel poco che avevamo, quel molto che avevamo, che era la nostra giovinezza, a una causa che credevamo la più nobile del mondo… abbiamo lottato con tutte le nostre forze, ma avevamo capi corrotti, leader codardi, un apparato di propaganda che era peggio di un lebbrosario, abbiamo lottato per partiti che in caso di vittoria ci avrebbero spediti subito in un campo di lavori forzati, abbiamo lottato e messo tutta la nostra generosità in un ideale morto da più di cinquant’anni”.

 

Monsieur Pain

(1999; prima pubblicazione come La senda de los elefantes, 1994)

 

Pierre Pain è un medico seguace di Mesmer che viene chiamato al capezzale di César Vallejo, celebre poeta peruviano amato dall’autore, moribondo in un ospedale parigino alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Ma Monsieur Pain, che si muove in una Parigi letteraria, sembra vittima di una (paranoica?) cospirazione diabolica destinata a impedirgli di salvare il vecchio poeta. Alla fine riuscirà a strappargli il singhiozzo che lo torturava – che assurge a simbolo del mistero rinchiuso nell’opera di Vallejo – per portarlo con sé come un’eco. Scritto nei primi anni Ottanta, bisognerà attendere “La parte di Amalfitano”, in 2666, per ritrovare in Bolaño analoghe atmosfere oniriche, abitate da presenze spettrali, forse il suo debito principale verso il Cortázar di alcuni racconti e del romanzo Componibile 62, oltre che verso Poe, citato in epigrafe.

 

Notturno cileno

(Nocturno chileno, 2000)

 

Sebastian Urrutía Lacroix, sacerdote membro dell’Opus Dei, rievoca in una notte di delirio tutta la sua vita dal 1950, l’uscita dal seminario, al 2000. Al centro, la sua carriera di critico letterario nel Cile di Pinochet, dove venivano torturati gli oppositori politici nei sotterranei della stessa casa in cui si riunivano fiori fior di intellettuali. “Notturno cileno ha la stessa struttura di Amuleto… Sono romanzi musicali, da camera, e sono anche monologhi teatrali per una voce instabile, capricciosa, che si abbandona al suo destino, che dialoga col suo destino… È il tentativo di costruire un romanzo fiume di 150 pagine, come voleva Giorgio Manganelli… È anche il tentativo di costruire con sei, sette o otto quadri, tutta la vita di una persona… Credo che sia un romanzo con molto humour. Almeno, mentre lo scrivevo ridevo come un matto. Persino nei momenti più terribili c’è senso dello humour, del ridicolo, inteso alla maniera cilena, vale a dire un ridicolo spaventoso.”

 

Puttane assassine

(Putas asesinas, 2001)

 

Una raccolta di racconti incentrati su una sessualità torbida, amori segreti, la condizione desolante dell’esilio, incontri fortuiti carichi d’intensità, episodi autobiografici rivisitati, e ancora una volta l’amato-odiato mondo letterario (con un omaggio al poeta cileno Enrique Lihn e uno sberleffo al vate nazionale Pablo Neruda). Come tutti i grandi scrittori Bolaño affronta obliquamente temi universali, l’amicizia, la solitudine, la morte, sotto il segno della violenza che ha mandato in frantumi gli ideali di una generazione. “Cosa ne penso delle puttane? Be’, ho sempre tenuto in grande considerazione questo mestiere, perciò le puttane godono di tutto il mio rispetto. Tutte. Quelle povere e quelle di lusso. Da Catullo a Baudelaire, tutti i poeti le hanno amate. E chi non le ama è un impotente o uno sfigato puritano ipocrita della peggior specie.”

 

Anversa

(Amberes, 2002)

 

“Quando l’ho scritto non vedevo una gran differenza fra poesia e prosa. Le frontiere, immagino, in quel momento si stavano cancellando.” Scritto nel 1980, il romanzo è infatti una sorta di puzzle di 56 frammenti che sono debitori sia della formazione poetica dell’autore sia delle suggestioni cinematografiche, tanto da assomigliare spesso a un copione. Sarà bene avvertire però che la poesia in questione è quella realvisceralista, scritta dai “cani romantici”, come recita il titolo di una raccolta di versi di Bolaño. È il lettore, questa volta, a doversi trasformare in detective per scoprire anzitutto la trama del racconto, avendo a disposizione pochi elementi: una cittadina della costa catalana, un bosco in autunno, un cadavere, un gobbo. Secondo un critico: “È l’esplorazione ossessiva di un unico motivo classico: il motivo del doppio, e soprattutto del doppio dell’artista”.

 

Un romanzetto canaglia

(Una novelita lumpen, 2002)

 

Quando la Mondadori propose a sette scrittori latinoamericani di scrivere altrettanti romanzi ambientati in grandi capitali mondiali, pochi potevano immaginare che la critica si sarebbe divisa proprio sul fatto se Roma sia effettivamente presente in Un romanzetto canaglia, o se lo scenario in cui si muovono i protagonisti sia uno spazio neutro globalizzato. Certo non si tratta di una Roma da cartolina illustrata, ma piuttosto filtrata dalla sua immagine mitico-mediatica (di qui l’onnipresenza di cinema, tv e giornali). Bianca e il fratello, due adolescenti rimasti orfani, entrano in contatto con un bolognese e un libico che li convincono a mettere a segno una rapina ai danni di un cieco, ex star cinematografica di Cinecittà, ma le cose non andranno secondo i piani.

 

Il gaucho insostenibile

(El gaucho insufrible, 2003)

 

Prima opera postuma dell’autore. Si tratta di una raccolta di cinque racconti seguiti da due conferenze. I racconti si incentrano su personaggi come Jim, veterano della guerra del Vietnam, “il nordamericano più triste del mondo”, Héctor Pereda, ex avvocato che lascia Buenos Aires per andare a vivere come un gaucho nella pampa, Pepe, poliziotto del popolo dei topi che indaga su misteriosi crimini, Álvaro Rousselot, sconosciuto romanziere argentino che si vede plagiato da un cineasta francese. “Letteratura+malattia=malattia”, la prima delle due conferenze, inizia come una dolorosa confessione personale, ma poi si trasforma in una riflessione sulla poesia francese del XIX secolo, il sesso e i viaggi. Nella seconda, “I miti di Chtulhu”, il lettore può farsi un’idea del Bolaño polemista, alle prese con le “vacche sacre” della letteratura latinoamericana.

 

Notabene: Tranne Amuleto, uscito per Mondadori, tutti gli altri libri sono stati pubblicati in Italia da Sellerio.

(Pubblicato su Pulp n. 70, 2007)

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