Se Amuleto e Notturno cileno erano assoli e I detectives selvaggi un coro polifonico, La pista di ghiaccio – l’ultimo romanzo di Roberto Bolaño uscito in Italia –, con le sue tre voci narranti, è un trio da camera. Gaspar Heredia, poeta messicano, è guardiano notturno in un camping sulla Costa Brava (“Io non sono uno che chiede la carità”). Il suo occasionale datore di lavoro, conosciuto anni prima in Messico, Remo Morán, cileno, è un commerciante di bigiotteria con la vocazione dello scrittore (“Non sono, come si è detto ultimamente, l’uomo di paglia di un narcotrafficante colombiano”). Enric Rosquelles, infine, politico socialista responsabile dei servizi sociali, è un idealista felicemente approdato al sottogoverno e a un candido cinismo (“Io non mollo mai”). Attraverso i racconti dei tre veniamo a sapere dell’assassinio di un’ex cantante d’opera – la parola “omicidio” compare fin dalla prima pagina – che viveva come una barbona nel camping. La vicenda è raggelante come il luogo del delitto: una pista di ghiaccio di cui pochissimi conoscono l’esistenza, all’interno di un palazzo storico disabitato e isolato. I racconti si intrecciano illuminando i rapporti fra i tre personaggi principali e facendoci intravedere squarci della vicenda, spingendo la narrazione verso il climax, ma senza contraddirsi o sovrapporsi, perché in fondo ciascuno racconta (o tace) di sé.
La pista di ghiaccio è un poliziesco, o se si vuole un noir, alquanto anomalo: nessuno conduce serie indagini, a nessuno interessa stabilire “la verità” – salvo il lettore, forse –, poiché tutti vogliono proteggere qualcuno. Enric non si preoccupa di un’improbabile accusa di omicidio nei suoi confronti: il suo cruccio è lo scandalo per la scoperta della pista di pattinaggio che ha fatto costruire illegalmente per la bella Nuria, scandalo che segna anche la fine delle sue illusioni d’amore. Gaspar, innamorato di Caridad, una ragazza marginale che gira con un coltello, amica della vittima, vuole solo proteggerla dopo averla trovata sul luogo del delitto, indifferente al fatto che possa essere lei l’assassina. Remo, infine, amante segreto della bella Nuria, pur avendo ascoltato la spontanea confessione dell’assassino, si guarderà bene dal denunciarlo alla polizia.
Bolaño, acuto lettore di Borges, concordava probabilmente con il giudizio del Maestro sul genere poliziesco: è il più artificioso che ci sia, dato che i casi perlopiù vengono risolti solo grazie a una soffiata, e non alle indagini. Eppure, l’atmosfera rarefatta di suspense che sa creare anche in questo romanzo, con pochi cenni magistrali, dosando sapientemente preziosi indizi e piste fuorvianti per il lettore più attento, non ha niente da invidiare a quella dei migliori giallisti; nel frattempo, intesse le sue storie – autobiografiche, come sempre – di latinoamericani smarriti nel mondo (“Creature sciatte e ferite, risentite, disadattate, silenziose, malate, che era meglio non incontrare in una via deserta”), di gesti di solidarietà ruvidi e imbarazzati, di amori impossibili o precari.
La pista di ghiaccio, il primo romanzo pubblicato da Bolaño in Spagna (nel 1993), non è certo un “affettuoso omaggio” alla terra dove ha vissuto il suo lungo esilio. Lui, del resto, non si è mai sentito un esule, convinto che uno scrittore è di casa ovunque si parli la sua lingua. E dato che sulla sua non aveva peli, il quadro della Spagna socialista-affarista (tanto simile all’Italia craxiana) che emerge dal romanzo non deve aver gratificato i suoi ospiti. Sono posti che tutti conosciamo per esserci stati in vacanza d’estate, così accoglienti verso i turisti, così vivaci e tutto sommato tranquilli. Ci voleva Bolaño, uno straniero, per illuminare con un fascio di luce cruda il rovescio della medaglia, mettendo al centro della sua miniatura una pista di ghiaccio, luogo che assurge a metafora del gelo che pervade le relazioni umane, tanto nei bassifondi come ai vertici della società.
(Pubblicato su Pulp, n. 53, 2004 e poi nell’Archivio Bolaño)