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Lo “scivolone” di Cortázar

Dopo una lunga assenza è tornato in libreria, nella nuova traduzione di Ilide Carmignani, L’inseguitore di Julio Cortázar, riproposto da Sur con le illustrazioni di uno dei maestri del fumetto argentino, José Muñoz. Il racconto fu pubblicato nel 1959 nella raccolta Las armas secretas, e sotto il nome del protagonista, Johnny Carter, è facile riconoscere la figura del leggendario sassofonista Charlie Parker, morto nel 1955 a soli trentacinque anni, fondamentalmente per abuso di alcol ed eroina.

E qui abbiamo un problema.

Perché nel racconto, come viene ribadito più volte, la “droga” che assume Johnny Carter non è l’eroina, termine che non compare mai, bensì… la marihuana.

Leggiamo: «Johnny sta delirando e ha in corpo abbastanza marihuana da far impazzire dieci persone». E ancora, sempre più stupefatti: «fantasmi della marijuana, in fin dei conti, che scompaiono con una cura di disintossicazione». In un crescendo che sembra destinato a non finire mai: «Johnny suonava svogliato con l’ansia di scappare (a drogarsi di nuovo, aveva detto il tecnico del suono fuori di sé dalla rabbia), e quando l’avevo visto uscire barcollando con la faccia cinerea, mi ero chiesto se sarebbe durato ancora molto». Infatti, il macabro presagio viene ripreso poco dopo: «Johnny non resisterà ancora a lungo in questo stato. La droga e la miseria non vanno d’accordo».

(Oddio, la marihuana porta dritti alla schizofrenia? Al manicomio? Uccide? Ci si può salvare solo con una bella cura di disintossicazione? Tutti a Patrignano? E nessuno se n’era mai reso conto, ignorando i paterni avvertimenti che ci venivano da Fini, Giovanardi, Casini e altri probi viri…)

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Un ritratto del Gran Cronopio

“La verità, la triste o gioiosa verità, è che mi piacciono sempre meno i romanzi, la narrativa come si pratica di questi tempi. Quello che sto scrivendo adesso (se un giorno o l’altro lo finirò) sarà qualcosa come un anti-romanzo.” Così Julio Cortázar in una lettera a un amico. Il libro, Rayuela, sarebbe uscito tre anni dopo, nel 1962 (Il gioco del mondo nella traduzione italiana di Flaviarosa Nicoletti Rossini del 1969). Sulla copertina, disegnata dall’autore, l’illustrazione del gioco infantile cui allude il titolo: un rettangolo tracciato per terra e diviso in sei caselle che bisogna occupare, saltellando su una gamba dopo avervi gettato un sasso, per raggiungere il traguardo del Cielo. (Rivelatore il titolo primitivo che Cortázar poi cambiò, giudicandolo “un po’ pedante”: Mandala.) Subito baciato dal successo e tradotto in varie lingue, entrò di prepotenza nel ristretto numero di opere – Cent’anni di solitudine in testa – che a partire dalla fine degli anni Sessanta hanno forgiato l’idea che ci si è fatti in Europa della letteratura latinoamericana, a controbilanciare l’impressione che tutto quanto proveniva di lì fosse sotto il segno del barocco e del realismo magico.

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