Yehya, Yehya traduzioni

Il Congresso dei Visionari

Il mio giornale era in crisi per il quarto anno consecutivo. Un’altra annata disastrosa sul piano finanziario, con decisioni pessime e strategie politiche fallimentari, per non parlare delle tirature ridicolmente basse. Eppure, anche in queste condizioni, continuava a uscire in edicola. Ogni mese c’erano meno giornalisti, meno impiegati, meno segretarie, meno attrezzature, e naturalmente meno lettori. Ogni tanto arrivava un nuovo assunto, lavorava qualche giorno o un paio di mesi e poi scompariva. Il giornale non si vendeva e non c’erano soldi nemmeno per le biro. Tutto sembrava un lusso: chiedere una cartuccia d’inchiostro per la stampante, la riparazione di una fotocopiatrice o il rimborso spese per un viaggio. Nessuno si azzardava a dirlo ad alta voce, ma ormai la fine era imminente. 

Qualsiasi opportunità di uscire dalla monotonia e da un perenne stato di depressione mi sembrava allettante. Perciò, quando ricevetti l’invito per il Congresso dei Visionari, ero entusiasta e mi affrettai a sollecitare che mi mandassero. Non che l’evento mi interessasse in modo particolare, mi ero comportato allo stesso modo con la maggior parte degli inviti che erano arrivati sulla mia scrivania. Fu un puro caso che in quell’occasione mi abbiano dato il permesso e un po’ di denaro per assistervi. 

Il Congresso dei Visionari era organizzato da William Harris, un eccentrico miliardario ecologista che aveva invitato un’accolita di bizzarre personalità in rappresentanza di diverse organizzazioni, sette e chiese. Per la prima volta nella storia costoro avrebbero confrontato le prospettive dei rispettivi culti, credenze e fedi. L’organizzazione di Harris, la wosp (World Organization for Spiritual Peace), dopo aver svolto un’esaustiva ricerca sui ragruppamenti a livello mondiale, aveva esteso l’invito a personaggi stravaganti di ogni latitudine. Harris sosteneva che il numero dei seguaci di un credo, di un dogma o di una visione non era un elemento probante della sua validità o della sua rispettabilità. Perciò erano invitate sia megasette internazionali sia confraternite microscopiche. Per esempio, secondo l’ultimo censimento, la Chiesa della Sacra Alleanza Planetaria contava soltanto tre adepti, eppure era stata invitata. 

L’opuscolo che ricevetti annunciava che più di duecento gruppi avrebbero presentato relazioni durante i quattro giorni del congresso, e che erano stati invitati più di un migliaio di rappresentanti. Mi fecero arrivare via fax un elenco dei conferenzieri: benché incompleto, era piuttosto esteso. A parte alcune sette famose, c’erano organizzazioni di cui non avevo mai sentito parlare, come i Neogiudei della Transizione, le Millenariste Maya, le Femministe Apocalittiche, gli Antigravitazionisti, i Nazisti Scientifici degli Ultimi Giorni, il Movimento dell’Estinzione Umana Volontaria, i Discepoli del Delfino di Venere, la Fratellanza Mistica della Razza Umana e gli Avventisti del Terzo Occhio. 

Diversi gruppi avevano deciso di non partecipare, alcuni perché «si rifiutavano di condividere il palco con comunisti, massoni e giudei», altri perché non sarebbero mai intervenuti a «un evento infestato di fascisti». Una setta dichiarò ai mass media – ai pochi che se ne interessarono – che non si sarebbe resa complice di quel «ripugnante incesto fra gli eretici e il Governo Segreto Mondiale», mentre altri affermarono di non avere niente a che vedere con quella «cospirazione extraterrestre». L’Organizzazione del Soccorso del Cristo Tolteca non poté mandare il suo rappresentante in quanto era stato incarcerato per stupro di una minorenne. A un paio di sette non fu possibile inviare delegati poiché i loro membri si erano suicidati in massa poco prima. Ma siccome non avevano cancellato la loro partecipazione, c’era chi si aspettava che avrebbero assistito comunque, o che avrebbero fatto qualche tipo di intervento spirituale, o che avrebbero mandato rivelazioni dal luogo in cui si trovavano. 

«Va bene, scrivi qualcosa su questa cagata, però fallo in fretta e che sia divertente» mi disse il mio capo l’ultimo giorno che mi presentai al giornale. La prima e unica volta che lo chiamai dall’albergo, in ogni modo, non ricordava che cosa stessi facendo io lì e mi ordinò di rientrare subito. 

«A quanto pare Carlos Monsivais sta morendo, torna oggi stesso.» 

Lo convinsi che della notizia si sarebbe potuto occupare Pablo, e che il mio rientro non era indispensabile. Gli ricordai che era stato lui a chiedermi un articolo su questa convention. 

«In fretta e divertente. Ricordi?» lo supplicai. 

Tornammo a negoziare la mia assenza. Accettò a denti stretti, mi intimò di mandare un pezzo ogni giorno personalmente a lui, e lui stesso avrebbe deciso se poteva pubblicarlo o no. 

«Non è il caso di perdere tempo con questi fanatici imbecilli. Diventerai scemo come loro.» 

E riattaccò. 

Il comitato organizzatore, presieduto da Harris, il magnate del vetro che più di una volta era stato accusato da gruppi di pacifisti e dei diritti umani per la vendita di materiale bellico (dicevano che fabbricasse mirini telescopici per fucili, apparecchi di precisione per carri armati e altri accessori), si era installato nell’atrio di un albergo abbastanza lussuoso situato in una zona industriale periferica, lontano dal centro cittadino e a qualche chilometro dall’aeroporto. Nei saloni di questo albergo si sarebbero svolti gli incontri, le relazioni, le tavole rotonde e i pasti. Successivamente venni a sapere che solo la stampa e alcuni rappresentanti dei gruppi più importanti erano alloggiati lì, mentre gran parte degli invitati erano distribuiti in motel, modesti alberghetti e case private. Harris non aveva chiesto soldi ai partecipanti, ma aveva sollecitato un contributo da parte degli invitati. E, a quanto pareva, l’importo dei contributi era in relazione con la qualità dell’ospitalità. 

La stampa era rappresentata da quattro reporter. Due di loro, indistinguibili dai conferenzieri, scrivevano per riviste di occultismo e contatti con gli extraterrestri. Entrambi erano piuttosto lontani dall’ideale del critico imparziale che un professionista della comunicazione, in teoria, dovrebbe ispirare. Oltre a loro, c’era il sottoscritto e una donna che lavorava per un settimanale scandalistico. Scomparve misteriosamente dopo il primo giorno del congresso e non la rividi più. 

La cerimonia d’inaugurazione fu celebrata nella Sala Rosa dell’albergo, ribattezzato per l’evento Forum della Coscienza Universale. Fu un avvenimento spettacolarmente pacchiano durante il quale Harris, per oltre un’ora, parlò dal podio – fiancheggiato da due enormi cartelli pubblicitari delle sue vetrerie – di balene in pericolo, dell’assassinio di Kennedy, di rituali tantrici, di simpatici extraterrestri desiderosi di salvare il pianeta, di cibi macrobiotici, di tatuaggi tribali e di come la sua impresa lottasse contro l’inquinamento mentre lavorava per il progresso. Io mi appisolai varie volte, e anche molti altri erano vittime della sonnolenza. 

Durante la prima pausa fu servito caffè con i biscotti. Quando arrivai al tavolo non restava granché. La rappresentante della Fratellanza Bianca Universale si stava ficcando nella borsetta pasticcini e bustine di zucchero. Del resto non era l’unica che faceva provviste. La scena si ripeté ogni volta che ci offrirono qualsiasi genere di cibi. Allo stesso modo bisognava affrettarsi per avere una copia degli opuscoli che ogni tanto venivano distribuiti. In una occasione vidi un membro del Tempio della Cristianità Elettrica rubare tutti i dépliant disposti sul tavolo del servizio informazioni dalla setta degli Apocalittici Sieropositivi, i quali assicuravano di possedere una cura per l’immunodeficienza che li avrebbe salvati – solo loro, che erano in dieci – da Armageddon. 

Dal momento in cui mi presentai a questa prima riunione non potei evitare di osservare una donna che indossava un lungo abito argentato. Aveva una chioma degna degli extraterrestri delle prime puntate della serie televisiva Startrek. Era riuscita in un’impresa piuttosto difficile: richiamare l’attenzione per il suo aspetto in mezzo a una congrega di individui estremamente pittoreschi, per definirli in qualche modo. Anche lei ogni tanto mi guardava. Durante una pausa si avvicinò e si presentò. 

«Sono Vivian. I nostri Fratelli Maggiori mi hanno visitato molte volte e la mia missione è guidare la Chiesa della Rivelazione della Data Predetta.» 

«Buona sera, molto piacere» risposi un po’ impacciato. 

Lei non beveva caffè e, indipendentemente dalle ragioni metafisiche o spirituali che la spingevano a non farlo, faceva benissimo, dato che era pessimo. Mi mise al corrente di qualche particolare riservato circa i Fratelli Maggiori e mi illustrò l’organigramma della sua Chiesa; fra lei e Cristo c’erano solo due gradini gerarchici. Mi sembrò che un’intervista con la sacerdotessa fosse l’ideale per dare un tocco di colore al mio primo articolo, che sarebbe stato noiosissimo se mi fossi limitato a descrivere la seduta inaugurale. L’invitai a pranzare con me più tardi. Accettò. Doveva essere sulla cinquantina, in questa dimensione, dato che parlava indistintamente delle numerose altre dimensioni in cui abitava, nelle quali le sue sembianze erano diverse. 

Ci attendevano ancora diverse relazioni prima dell’ora di pranzo. Così tornammo ai nostri posti, in attesa che gli oratori finissero di parlare. Accanto a me un nero non smetteva di pregare, mentre sul palco si succedevano i vari relatori. Non molto lontano, uno skinhead della Fratellanza della Divina Swastika urlava che bisognava cacciare dal podio quei degenerati impuri. Quelli intorno a lui rimanevano in silenzio, forse per rispetto della libertà d’opinione o forse perché sputacchiava parlando e aveva due braccia terribili da scaricatore di porto, coperte di tatuaggi. Fortunatamente uno dei suoi rivali, del Fronte Ariano per la Conquista dell’Occidente, si scagliò contro di lui e uscirono per darsele di santa ragione. Il violento incidente non turbò il proseguimento del congresso. Immaginai che bestialità del genere dovessero essere normali in eventi di questa natura. 

Alla fine della relazione di un tipo veramente strano, privo del collo e della fronte, Harris si precipitò sul microfono per invitarci a passare in sala da pranzo. I congressisti uscirono accalcandosi. Una donna anziana rimase ferita per i pestoni selvaggi che la lasciarono priva di sensi. Fra i pochi che uscirono senza affrettarsi c’era anche Vivian, intenta ad ascoltare pazientemente un tizio che parlava senza sosta. L’uomo le stava mostrando qualcosa che di lontano sembrava una radiografia. Mi avvicinai. 

«Lei non ci crederà, ma se sapesse quante persone si trovano nelle mie stesse condizioni si meraviglierebbe» disse con un accento che interpretai come indù. 

Mi fermai accanto a loro e cercai di seguire la conversazione. 

«E lei cosa vuole?» sbottò l’uomo, più spaventato che infastidito, mentre nascondeva la radiografia nella cartella. 

Dissi il mio nome e gli spiegai il motivo della mia presenza a quel forum. Lei sorrideva. 

«Questo signore mi stava parlando di un dispositivo, molto probabilmente una telecamera, che gli è stato impiantato dietro un occhio.» 

L’uomo aprì precipitosamente la sua vecchia cartella consunta e ne estrasse la radiografia di un cranio visto di fronte. 

«Qui, guardi, guardi» diceva indicando una macchia nell’orbita oculare destra. 

Cercai di scoprire la forma dell’oggetto, ma riuscii a distinguere solo una dozzina di impronte digitali. 

«È una telecamera grazie alla quale loro vedono. Mi utilizzano per i loro scopi.» 

Io assentivo con la testa. Scambiai un paio di occhiate con Vivian. Anche lei aveva dipinto sulle labbra un sorrisino di sufficienza. Cercai di convincere quel tizio a lasciarci raggiungere la sala da pranzo. Mentre ci avviavamo dissi una cosa come: 

«Meglio che loro non ci vedano attraverso gli occhi di questo tizio.» 

Ci servirono un brodino leggero che aveva esattamente lo stesso gusto di tutti i brodini che si servono negli incontri pubblici. 

«Lei sa chi è quell’uomo?» domandai. 

«Sì, è il signor Brighntzie» disse un nome impronunciabile e aggiunse: «Ha sofferto molto». 

«Immagino. Dev’essere difficilissimo pulire le lenti di una telecamera come la sua. E più ancora cambiare il nastro» mi scappò una risata. «Userà il formato vhs?» risi di nuovo, ma mi accorsi che stavo ridendo da solo. 

«So di molti che sono passati attraverso questa penitenza.» 

«Della telecamera nell’occhio?» domandai incredulo. 

«I Fratelli Maggiori ci hanno assegnato compiti diversi per la Data Predetta. Il signor Vtrigzhnie» nemmeno questa volta capii il nome «appartiene a una razza che non sarà necessaria in futuro. È per questo che adesso lui e alcuni suoi simili vengono utilizzati per vari obiettivi minori. In questo modo possono essere utili per il destino predetto» disse, e con l’indice segnalò il soffitto. 

«Suoi simili? Obiettivi? Razza che non sarà necessaria?» biascicai senza poter formulare una domanda coerente e precisa. 

«Crede forse che il giorno della Data Predetta i Fratelli Maggiori verranno per tutti gli abitanti del pianeta? Nossignore. Verranno solo per noi, i loro autentici eredi. Nel frattempo, però, hanno bisogno di vedere e ascoltare e sentire tutto quello che succede in questa dimensione.» 

«E che razza sarebbe?» domandai un po’ irritato, scoprendo che le idee di quella donna non erano molto diverse da quelle dei nazi rapati del tavolo accanto, che si tiravano il cibo, o da quelle sostenute dai Fratelli Sionisti del Messia Nero, che non sorridevano mai e affermavano che la razza bianca era il risultato di un esperimento dello scienziato pazzo Jakub, che aveva fatto accoppiare un macaco lebbroso con una cagna rognosa nell’anno 666. 

«Be’, la razza bianca, ovviamente.» 

Finii il mio brodino e poi mangiai una specie di pollo elastico con patate fredde che mi misero davanti. 

«La presenza qui del signor Brghntxaie» o comunque si chiamasse «è una prova irrefutabile del fatto che i Fratelli Maggiori sono interessati a questo memorabile congresso.» 

Inutile domandarle se credeva davvero che la macchia bianca sulla radiografia fosse una telecamera. Il fatto grave è che si trattava soltanto di un anello di una catena di credenze deliranti.

«Be’, immagino che non mi resti altro da fare che aspettare per vedere che tipo di destino mi riserveranno i Fratelli Maggiori» dissi. 

«Loro vengono quando si dorme. Potrebbero farlo in qualsiasi momento, ma vengono sempre quando si è addormentati.» 

Le diedi ragione e dissi che, visto che si parlava di quello, me ne sarei andato a fare la siesta. Mi alzai e lasciai il tavolo. 

Accesi la tv nella mia stanza. Infilati sotto l’uscio, mi aspettavano tre messaggi del mio capo. Nel primo mi intimava di rientrare subito. Nel secondo mi chiedeva dove cazzo era il mio articolo. E nel terzo mi minacciava, se non mi fossi messo subito in contatto con lui. Li gettai nel cestino della carta straccia, mi lasciai cadere sul letto e mi addormentai pensando alle stravaganze della leader della Chiesa della Data Nonsoché. Non erano passati nemmeno due minuti quando fui svegliato da un rumore proveniente dalla tv. Un aereo si sfracellava al suolo in un vecchio film di guerra. Spensi l’apparecchio e cercai di rimettermi a dormire, ma non ci riuscii. Ridevo fra me delle parole di Vivian. Dopo un bel po’ di tentativi falliti, mi diedi per vinto e decisi di scendere per ascoltare le conferenze del pomeriggio. La maggioranza del pubblico dormiva beatamente. Un paio di persone molto attente prendevano appunti. Vivian ascoltava assolutamente immobile. Mi avvicinai e le sussurrai all’orecchio: 

«Adesso sarebbe il momento ideale per i Fratellini per impiantare delle cose nella testa della gente.» 

Non rispose. Andai a sedermi qualche fila indietro. 

Mi appisolai un minuto ed ebbi una visione, immaginai un gran numero di esseri piccoli e grigi che manipolavano le teste dei congressisti sotto lo sguardo complice di Vivian. Aprii gli occhi. La donna sul palco parlava delle famose mutilazioni del bestiame e degli enormi cerchi disegnati in certi campi coltivati in non so quale zona della campagna inglese. Spensero le luci per proiettare delle diapositive. Non accadde nulla. Eravamo tutti silenziosi. Cominciavo a sentirmi un po’ idiota perché il mio respiro era affannoso, e non c’era altro motivo al di fuori di quel sogno. Rimanemmo in silenzio ancora un po’ senza che venissero proiettate le immagini dei famosi cerchi. 

D’improvviso apparve, a testa in giù, il disegno di una creatura grigia con enormi, lunghissimi occhi neri. Benché avessi già visto quell’immagine centinaia di volte in un sacco di riviste e programmi sensazionalistici, balzai in piedi. L’immagine scomparve e fu proiettata di nuovo, correttamente, qualche secondo dopo. Questa volta non m’impressionò più, e comunque decisi di svignarmela. Mentre guadagnavo l’uscita vidi che venivano proiettate foto di ufo, mappe e immagini dei famosi cerchi, ma erano tutte capovolte. Harris chiese scusa a nome della persona che stava proiettando le diapositive. 

Non ero dell’umore per tornare nella mia stanza. Raggiunsi la reception e chiesi un taxi per il centro cittadino. L’incaricato mi avvertì che il prezzo era piuttosto alto e scarabocchiò una cifra su un foglio. 

«Questo è il prezzo per la sola andata.» 

Con quella cifra avrei intaccato notevolmente in un colpo solo la somma che mi era stata assegnata dal giornale per l’intera permanenza. 

Gli domandai se non c’erano altri mezzi per arrivare in centro. Mi spiegò un tragitto piuttosto complicato che implicava tre cambi di autobus e una camminata di oltre due chilometri. 

«Gli autobus passano ogni ora» aggiunse. 

Di fronte a una simile prospettiva non mi restava che cercare un’alternativa, e l’unica disponibile era il bar dell’albergo. 

Ordinai una birra a una rossa che sembrava odiare tutti quelli che si azzardavano a varcare la soglia del locale. Di fronte a me, un uomo ogni tanto scuoteva rapidamente la testa come se soffrisse di un grave tic nervoso. Finii la mia birra e ne ordinai un’altra. La rossa me la mise davanti, ma non la lasciò finché non posai i soldi sul tavolo. Stavo per buttare giù il primo sorso quando mi si avvicinò l’uomo del tic. 

«Lei a che congregazione appartiene?» domandò scuotendo la testa. 

Stavo quasi per spiegargli che ero lì per scrivere qualcosa di divertente circa quell’accozzaglia di ridicoli dementi che credevano nei marziani e nelle razze superiori. 

«Sono giornalista» risposi semplicemente. 

«Voi siete il vero veleno della società» disse senza cambiare tono e scuotendo un’altra volta la testa. 

«Ah sì?» 

«Voi sapete bene quello che sta succedendo e lo occultate. Vi rifiutate di dire la verità.» 

«Riguardo a cosa?» 

«Riguardo a cosa? A tutto, naturalmente, ai Visitatori, al Governo Planetario, alla razza di mutanti prodotta dal Pentagono, all’assassinio di Kennedy. Voi sapete la verità ma non volete dirla.» 

«Per quel che mi riguarda personalmente, ho paura di non conoscere queste verità.» 

«Per quale canale lavora?» 

«Canale? Io lavoro per un giornale, non per la televisione.» Non gli dissi quale, temendo che si burlasse di me. «Non vede che non ho telecamere e niente del genere?» 

«Io appartengo all’Unione Evangelica per la Difesa della Mente. Non siamo stati invitati a questo congresso, ma siamo venuti lo stesso perché abbiamo un messaggio importante. La televisione è la voce di Satana.» 

La mia pazienza diminuiva via via che finivo la seconda birra. 

«Bisognerebbe obbligare i canali televisivi a passare programmi migliori, vero?» proposi. 

Il tizio scosse la testa. Gli dissi che se avesse comprato un televisore con i disturbi sincronizzati con gli scuotimenti della sua testa non sarebbe andato in giro a dire scemenze nei bar. 

Arrossì, e il suo tic sembrò interrompersi. 

«Signore, quel che ho io si deve al fatto che loro» guardò in alto e scosse la testa «mi hanno impiantato un dispositivo nel cranio. E lei non può nemmeno immaginare quello che soffro.» 

«Ha una telecamera dietro un occhio?» 

«Certo che no» ribatté come se lo avessi offeso. «Loro mi hanno destinato ad altri scopi.» 

«Chi sono loro?» 

«Non finga. Oltre a essere un maleducato, lei è uno dei loro collaboratori.» 

Fui preso da un attacco di risa. L’uomo se ne andò scuotendo la testa. 

Ordinai un’altra birra. 

Udii il frastuono al termine della riunione. Tutti si pecipitarono a cenare. Alcuni ubriachi che si trovavano nel bar si alzarono barcollando per raggiungerli. Le cameriere bloccarono un paio di vecchietti: sostenevano che le loro consumazioni erano a carico del congresso. Naturalmente, l’alcol non era incluso nel pacchetto, Harris non aveva ritenuto che i visionari avrebbero avuto bisogno di questo genere di stimoli, perciò, una volta appurato che quei tizi non avevano un soldo in tasca, arrivarono due uomini della sicurezza e se li portarono chissà dove. 

Io continuai a bere. 

Quando finì la cena, un tipo con l’aria da vagabondo entrò accompagnato da altri congressisti. Tirarono fuori delle bottiglie dalle loro valigette per brindare allegramente. Di nuovo gli uomini della sicurezza entrarono nel bar e condussero via i visionari. D’un tratto l’albergo rimase tranquillo, anzi, rimase deserto. Non so quanti autobus raccolsero i congressisti per portarli ai rispettivi alloggi. L’albergo era molto grande, e certo il suo funzionamento richiedeva parecchio personale, ma di colpo erano spariti tutti. 

Mi era venuta fame, la cucina però era già chiusa e non c’era niente di commestibile, né caldo né freddo. Perciò continuai a bere e a dilapidare la somma limitata messa a disposizione dal giornale. La rossa di malumore mi disse che dovevo andarmene perché avevano già chiuso il bar. Cercai di fare una battuta, ma lei si limitò ad accentuare la sua smorfia di disgusto. 

Mi lasciai cadere su una poltrona della reception. Ero piuttosto sbronzo e avevo voglia di pisciare. D’improvviso spensero tutte le luci e non le riaccesero più, nonostante le oscenità che urlai e che adesso non ricordo. In quel momento tornò la visione degli ometti grigi. Mi misi a ridere. Ma non bastò per allontanarli dai miei pensieri. Mi trascinai stancamente verso gli ascensori. La mia attesa fu inutile, perché avevano già interrotto il servizio. Avevo l’impressione di essere l’unico ospite in tutto l’albergo. Mi ricordai di Jack Nicholson in Shining e mi venne un crampo allo stomaco. 

Fortunatamente, nella mia stanza c’erano luce e televisore. Li accesi entrambi ed entrai in bagno. Sul pavimento mi aspettavano altri tre messaggi del mio capo, ma non li lessi. Ci camminai sopra. Niente acqua calda. Ero spaventato, non volevo spegnere la luce e neanche dormire, sebbene fossi molto stanco e l’alcol avesse già fatto notevoli danni nella mia testa. 

«Quasi come un dispositivo dei Fratelli Maggiori» pensai ad alta voce. 

Non avevo ancora finito di pronunciare quelle parole che mi venne la pelle d’oca. Pensai che dovevo scrivere qualcosa per il giornale e inviarlo la mattina dopo. Squillò il telefono. Non osai rispondere per paura che fosse il mio capo, ma anche perché temevo che non fosse lui. Chi poteva chiamarmi a quell’ora, e perché? Immaginai un ometto grigio con un auricolare nell’orecchio, circondato da altri ometti che ridevano e cercavano di strappargli la cornetta per ascoltare la mia voce. Il telefono smise di squillare. Decisi di sedermi al tavolo per scrivere qualcosa. Accesi il portatile, però non riuscii a concentrarmi, in parte per la sbronza ma soprattutto per quella sensazione di paura che avevo già conosciuto da bambino e poi scordato completamente. Era un’emozione quasi corporea che mi paralizzava e s’impadroniva di me a poco a poco. Per cercare di calmarmi, mi sforzai di ricordare l’ultima volta che avevo avuto paura. Pensai a vari momenti della mia infanzia, ma mi fu impossibile rivivere la sensazione provata allora, quindi non potevo fare paragoni con ciò che stavo vivendo in quel momento. Più di tutto mi spaventava l’idea di addormentarmi. 

Passai la notte seduto davanti alla tv, tentando di combattere il sonno. Non ricordo quello che vidi, ma ricordo che in un film c’era un aereo militare che si sfracellava al suolo. O forse era un aereo civile che cadeva in una base militare? Per due volte mi misi sotto la doccia fredda e alla fine mi svegliai sul pavimento del bagno avvolto in un asciugamano. Nel complesso non dormii più di un paio d’ore. 

Con la luce della mattina arrivarono i postumi della sbronza. Mi vestii e andai a far colazione nella speranza di alleviare il malessere. In sala da pranzo c’erano già i congressisti che si riempivano la pancia e le borse con i cibi del modestissimo buffet. Vivian venne verso di me con il suo piatto in mano. Quella mattina aveva una minigonna dorata e un’acconciatura che sfidava le leggi di gravità e faceva pensare a una versione punk degli anelli di Saturno. 

«Non ha un bell’aspetto» mi disse sorridendo educatamente. 

«Senti chi parla» pensai, ma non dissi nulla, anzi, risposi con un sorriso affabile. 

«Lei è stato selezionato. Ormai non è più con noi» aggiunse cripticamente, poi andò a sedersi con un gruppo di uomini. 

Rimasi intrigato, ma non ero dell’umore giusto per ascoltare altri spropositi. Volevo lasciare quell’albergo. Nel frattempo andai a sedermi da solo in un cantuccio, con una tazza di caffè e un mal di testa degno di un altro pianeta. Le sessioni e i tavoli di lavoro – anche se il nome in questo caso suona paradossale – di quella giornata trascorsero in un sopore opprimente, che era il tono generale del congresso. Tuttavia non mi addormentai nemmeno un minuto, neanche quando qualcuno, per la decima volta, sosteneva la propria causa in nome di Cristo, o venivano letti lunghi passi dell’Antico Testamento per giustificare profezie, pregiudizi e credenze estreme e deliranti. 

Niente di ciò che venne detto quel giorno mi lasciò ricordi memorabili. E il mal di testa non scomparve fino all’ora di cena, quando tornai a sentirmi vivo e padrone dei miei atti. Mi scolai una birra, la mente sgombra. Il mio umore migliorò notevolmente finché un tizio immenso si sedette al mio tavolo. Mangiava piano, come se a ogni cucchiaiata sollevasse tutta la tristezza del mondo. 

«E lei a che setta appartiene?» domandai. 

«Nessuna setta o niente del genere.» 

Poi rimase in silenzio. 

«E allora cosa ci fa qui?» 

«Appartengo all’Istituto Investigativo sulla Verità Occulta nei Raggi Catodici. In effetti, sono il presidente. E quello che faccio qui è cercare di spiegare a tutti questi ingenui che la Parola del Signore entra ogni giorno nelle nostre case attraverso la tv. Naturalmente, però, non tutti sono preparati ad ascoltarla» mi guardò dall’alto in basso e riprese a mangiare. 

«La parola di Dio nella tv? Com’è che non mi è venuto in mente di cercarla proprio lì? Anche se, a dire il vero, a volte mi vien voglia di pregare il mio Sony Trinitron.» 

La conversazione finì lì. Arrivarono gli autobus e i congressisti si dileguarono. Appena l’ultimo fu uscito, spensero di nuovo le luci. Mi preparavo a dormire profondamente in quella che sarebbe stata la mia ultima notte lì. Accesi la tv e la luce. Ignorai del tutto i fogli che mi avevano fatto scivolare sotto l’uscio. Sicuramente erano altri messaggi del mio capo. Neanche quella sera c’era acqua calda. Mi coricai per mettermi a dormire quando udii del frastuono nel corridoio. Attraverso la tenda vidi una luce bianca e la mia testa fu visitata di nuovo dagli ometti grigi che sequestravano le persone per far loro cose innominabili. Poi la luce si affievolì. Volevo chiamare qualcuno, un amico d’infanzia, un parente, chiunque non facesse parte di quell’universo sgangherato. In ogni caso, le linee telefoniche esterne, così come l’acqua calda, non funzionavano. Non avevo più rivisto gli altri giornalisti. Sull’albergo era calato un silenzio talmente profondo che mi sembrava improbabile che qualcun altro si fosse fermato a dormire. 

Spensi la luce e la tv, dove un aereo si sfracellava al suolo, ma ogni minimo rumore mi faceva sobbalzare sul letto. Accesi tutto di nuovo. Camminai un po’ su e giù. Tentai di scrivere, ma ero troppo ansioso e non riuscivo a concentrarmi. Mi sembrava vergognoso che la faccenda degli esseri grigi e le altre soperchierie mi avessero reso così apprensivo. Mi sforzai di leggere un libro, ma sfogliavo le pagine senza capire niente di quello che c’era scritto. Tornò il mal di testa. Volevo aprire il mobiletto bar, ma era chiuso a chiave. Ero decisamente disperato e non avevo affatto sonno. Cercai di chiamare la reception, ma non rispose nessuno. E la cosa, a quel punto, non mi sembrò nemmeno strana. 

Ero intrappolato. Mi affrettai a vestirmi. Il sole non avrebbe tardato molto a sorgere, e allora sarei fuggito su uno degli autobus che portavano i partecipanti alla convention, anche se avessi dovuto corrompere o sequestrare qualcuno. In tv uomini grigi festeggiavano l’anno nuovo con mortaretti, dolciumi e cappellini di carta. Feci le mie valigie e mi sedetti sul letto tenendole strette. Nel corridoio camminavano ometti di tutti i colori, reggevano piccolissime telecamere e radar microscopici che intendevano impiantarmi negli occhi e nelle orecchie. 

Stavo per uscire dalla camera ma non osai. Era del tutto assurdo pensare che dietro ci fosse un gruppo di ometti, ma la sola idea mi paralizzava. Immaginavo molti occhi grandi, neri, penetranti e a mandorla che fissavano la mia porta, sapendo che prima o poi mi sarei addormentato. Dovevo affrontare la mia paura, spalancare la porta e dimostrare a me stesso che non c’era niente da temere, che tutto quanto era solo il frutto di un’immaginazione deteriorata dalla stanchezza e da tanti anni di lavoro monotono, anni di frustrazioni, desiderando trovare qualcosa di meglio della routine quotidiana. Tornai al letto, sempre tenendo strette le mie valigie. Mi ci lasciai cadere. Ero intontito e avevo la nausea. 

«È ridicolo pensare che degli esseri altamente sofisticati stiano lì ad aspettare buoni buoni che io mi addormenti. Perché non mi addormentano loro?» ululai. 

Il mio capo era chino su di me e mi guardava come se fossi un gigante. Brandiva in una mano centinaia di foglietti. 

«Perché loro hanno una grande pazienza» disse rispondendo al mio dubbio. «Lo vedi, eh? Te l’avevo detto di rientrare» aggiunse. 

Accanto a lui c’era Vivian, con un vestito viola da cui le spuntavano i seni come missili con due sfere di poliester colorate attaccate ai capezzoli, e mi diceva: 

«Come puoi aver paura di qualcosa che non riesci neanche a immaginare? Qualcosa di completamente diverso da quello che per tutta la vita hai associato con l’orrore, la malvagità o il pericolo?» 

Volevo rispondere, ma Vivian si era trasformata in Harris, che diceva qualcosa a proposito delle balene. Cercai di alzarmi, ma le valigie sembravano catene che mi tenevano ancorato. Le mie mani erano paralizzate. Non sapevo se avevo gli occhi aperti o chiusi, ma sentivo i vecchi ubriachi della notte precedente. Dicevano che il bar dell’albergo era uno schifo, e che l’unica cosa buona era il culo della cameriera rossa ingrugnata. Stava squillando il telefono. Vidi che le guardie di sicurezza sparavano ai vecchi del bar che non avevano pagato il conto. 

Mi accorsi che intorno a me tutto era esattamente come la notte prima. Pensai che la notte prima era quella stessa notte, che l’alba non era ancora spuntata e che quel giorno era stato un sogno o un’illusione bizzarra. Pensai che quella notte non sarebbe finita mai. Gli esseri grigi erano già nella stanza. Non potevo vederli o ascoltarli, ma sapevo che erano lì. Ricordai quello che mi aveva detto Vivian a proposito delle diverse dimensioni e vidi chiaramente Rod Serling che presentava una puntata mai vista di Dimensione sconosciuta. Pensai anche a quello che mi aveva detto a proposito del fatto che non ero più con loro. 

Immaginai gli ometti come nani deformi e domandai ad alta voce se con le loro taglie si sentissero davvero Fratelli Maggiori di qualcuno. Alla tv un aereo militare si sfracellava al suolo in un film che mi parve familiare.

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