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Visconte Lascano Tegui, Un dandy della pampa

«Sono estremamente imbarazzato a parlare di questo libro, che forse non sarà un capolavoro (non so bene cosa sia un capolavoro e ormai diffido di questo genere di opere), ma è sicuramente una delle cose più originali, più singolari che abbia mai letto. In cosa consiste la sua originalità? Io sento che in queste pagine c’è qualcosa di inafferrabile, che sfugge a qualsiasi definizione, a qualsiasi spiegazione». Così scriveva Francis de Miomandre nel 1930, presentando la sua traduzione dell’edizione francese di De la elegancia mientras se duerme, del Visconte di Lascano Tegui.1 L’elogio non è di maniera, e vale la pena ricordare che Miomandre – illustre ispanista d’Oltralpe, autore a sua volta di opere letterarie raffinatissime e singolari, oltre che di una miriade di articoli giornalistici – ebbe il merito di scoprire e promuovere talenti come Claudel, Gide, Valéry, Proust, e di difendere Cèline dalle accuse di turpiloquio.

Gli anni trascorsi da allora, malgrado i sempre più frequenti e convinti riconoscimenti della critica argentina e internazionale, non hanno dissipato un certo imbarazzo a parlare del libro, definito «inclassificabile» da uno studioso in occasione della ripubblicazione in Argentina.2 D’altra parte, in fondo è comprensibile lo sconcerto provocato dalla sorprendente modernità di un testo che varca con disinvoltura i confini dei generi letterari: una narrazione in forma di diario che presenta frammenti di un’autobiografia apocrifa, mischiando elementi del romanzo gotico e poliziesco, slanci lirici e gustose parodie, aforismi stravaganti e acuti spunti metaletterari; una sorta di Bildungsroman che narra l’iniziazione sessuale, letteraria e criminale dell’autore, accetta di essere letto anche secondo un ordine casuale – formato com’è da brani relativamente autonomi – e sospende l’ordine cronologico lineare con quelle date incomplete: 18… C’è più di un motivo per inarcare le sopracciglia.
La scelta della frammentarietà è in linea con lo stile della décadence, così definito da Paul Bourget in uno scritto su Baudelaire: «Uno stile di decadenza è quello in cui l’unità del libro si decompone per lasciar posto all’indipendenza della pagina, dove la pagina si decompone per lasciar posto all’indipendenza della frase e la frase per lasciar posto all’indipendenza della parola». Del resto, anche la forma diaristica, già ambigua di per sé nell’irrisolta dicotomia privato/pubblico, viene «tradita» più volte dal Visconte a favore dell’autobiografia («Questo diario, che scrivo quasi di malavoglia mentre si fa sera, non sempre riflette quanto mi accade, spesso è la rievocazione di quanto mi è accaduto, p. 19; «Questa pagina è inspiegabile nel diario della mia vita. L’ho scritta con tenerezza, come se una volta fossi stato innamorato», p. 66. Autobiografia apocrifa, si è detto, nella quale non mancano però ricordi veri (il Visconte ha perso davvero un fratello, Carlos, annegato nel fiume Chubut, in Patagonia) e fissazioni personali: sul feticismo delle mani, leitmotiv che percorre tutto il testo a partire dal folgorante incipit, Lascano Tegui pubblicò nel 1949 un articolo sulla rivista «Caras y Caretas» in cui descriveva le mani di scrittori e scacchisti, accompagnato da una foto delle proprie.3
Il gusto del Visconte per la parodia (ai suoi numi tutelari, Verlaine, Lautréamont, De Quincey, Rubén Dario e Dylan Thomas, si aggiunga pure Alfred Jarry) si può apprezzare in sommo grado nel brano sulle mani degli omosessuali, con la bizzarra affermazione: «I pederasti dovrebbero avere solo quattro dita per mano», p. 70), ricordando che al Congresso di antropologia criminale del 1886 Cesare Lombroso, gran cerimoniere delle aberrazioni positivistiche di fine secolo, aveva sostenuto che un gran numero di prostitute di cui si era occupato avevano l’alluce molto separato dalle altre dita del piede. E ancora, al Visconte basta una strizzata d’occhio al lettore («come se si sentisse un personaggio di Eugène Sue, di cui allora si divoravano i romanzi d’appendice», p. 25) o una sottile allusione («Nessun rumore, niente porte che cigolano sui cardini, nemmeno una voce. La casa è raggelata dalla morte», p. 26) per evocare i luoghi comuni del genere gotico congeniali al suo racconto e distanziarsene parodisticamente.
Infine, si è accennato agli elementi metaletterari sparsi nel testo, a partire dalla figura del cocchiere-Caronte («Io sono cocchiere e non concepisco i romanzi se non in carrozza», p. 117) che ci guida in un percorso a zigzag, fino all’esplicita dichiarazione di una poetica che ha la sua origine nel De Quincey di L’omicidio come una delle belle arti e anticipa la teoria del delitto gratuito di Gide: «E non potrebbe il libro essere un modo per convogliare l’idea di crimine che vorrei commettere? Non potrebbe ogni pagina diventare una minuscola scheggia di vetro nella minestra quotidiana dei miei simili?» (pp. 112-113).
Inizialmente De la elegancia mientras se duerme doveva intitolarsi Oraciones a Nuestra Señora de la Sifilis, e com’è noto all’epoca la sifilide era il male oscuro, inesorabile e ripugnante – segnato per di più dallo stigma degli amori peccaminosi – che si era portato via, fra gli altri, Baudelaire, Maupassant, Jules Goncourt, Toulouse-Lautrec, Gauguin. Malattia «letteraria» per eccellenza, aveva già lasciato traccia nella produzione di Balzac, Barbey d’Aureville e Huysman, che al protagonista di A rebours faceva dire di amare le orchidee «perché somigliano ai fiori artificiali, perché in esse la natura imita al meglio le piaghe della sifilide». I temi «scandalosi», impubblicabili, peraltro sempre risolti dal Visconte in punta di penna, fanno sì che si possa leggere De la elegancia mientras se duerme quasi come un compendio di tutte le trasgressioni di fine Ottocento: feticismo, travestitismo, omosessualità, pedofilia, zoofilia, cambiamento di sesso, prostituzione, sifilide, ma in fondo è solo una posa avanguardistica, mentre la vera radicalità della proposta letteraria emerge dalla deliberata assunzione di un soggetto mobile, instabile, che mette in discussione la nozione stessa di identità, spostando tutta l’attenzione sulle stupefacenti metamorfosi del narratore e sulle inquietanti figure che popolano le sue pagine.
Non meno originale del libro il suo autore, a cominciare da quel titolo apocrifo di Visconte che, a quanto pare, gli fu attribuito per equivoco da una nobildonna in un hotel del Cairo dove era giunto a piedi, poco più che ventenne: lui lo adottò senza battere ciglio come nomme de plume, probabilmente memore dello pseudonimo dell’amato Isidore Lucien Ducasse, il Conte di Lautréamont, che aveva compiuto il suo stesso viaggio fisico e culturale – dal Rio de la Plata alla Ville Lumière – pochi decenni prima. (Il narratore di De la elegancia mientras se duerme ci rimanda alle «gesta» di Maldoror, il protagonista di Les Chants de Maldoror di Lautréamont, nell’episodio di seduzione della minorenne a p. 108.)
Emilio Lascanotegui (sempre per un vezzo spezzò il cognome di origine basca in Lascano Tegui, che suonava più «nobiliare») nacque nel 1887 in una famiglia modesta – padre argentino e madre uruguayana, maestra – che dalla sperduta provincia di Entre Rios presto si trasferì a Buenos Aires. Qui, nel quartiere di San Telmo, trascorse l’infanzia rievocata più tardi nei versi suggestivi di Muchacho de San Telmo. Traduttore per il servizio postale internazionale, dal 1906 al 1910, approfittò delle ferie per viaggiare a piedi in Italia, in Francia e nel Nordafrica; in seguito avrebbe detto di aver scoperto l’incantesimo della poesia durante quei viaggi. Nel 1913 era già ben installato a Montmartre, dove strinse amicizia con Apollinaire e Picasso, ed espose tele in varie mostre collettive insieme a pittori come Utrillo e Modigliani. Avrebbe coltivato la pittura, una delle sue passioni insieme alla letteratura e all’arte culinaria, fino a poco prima della morte, avvenuta nel 1966 a Buenos Aires, a settantanove anni. Per guadagnarsi da vivere – è lui stesso a raccontarlo – fece i mestieri più svariati: arredatore, intermediario d’affari, esportatore, venditore ambulante al mercato delle pulci, meccanico dentista. Intanto collaborava con continuità  – lo fece per tutta la vita – a diverse testate di stampa argentine («La Nacion», «Critica», «Caras y Caretas», «Plus ultra», «Nosotros», «Patoruzu», «Martin Fierro»).
Nel 1923 entrò nel servizio diplomatico, carriera che lo avrebbe portato a Le Havre, Boulogne Sur Mer (dal 1928 al 1934), Cherburg e Parigi, e nel 1936 a Caracas (dove realizzò un murale di 250 metri quadrati per decorare la sede dell’ambasciata), poi a Los Angeles, dove sarebbe rimasto dal 1940 al 1944, prima di rientrare definitivamente in patria.
Ebbe due mogli e pare che in fondo fosse un uomo misurato: dandy forse, sicuramente bon vivant, nomade per vocazione, ma distante dallo stereotipo del poéte maudit (si veda lo spassoso frammento sulle frizioni antoforfora, dove il Visconte ironizza sul mito dei paradisi artificiali, che tanta parte ha avuto nella creazione dello stereotipo e nel decadentismo come fenomeno di costume: «Non credo nell’oppio né nella morfina… Le frizioni antiforfora sono state la cosa più bella della mia giovinezza», p. 20). In un omaggio dedicatogli dalla «Revue argentine» nel 1934 si legge: «A causa della molteplicità delle sue occupazioni, si potrebbe immaginare che si tratti di un bohémien, oppure di uno speculatore. Né l’uno né l’altro. È un uomo normale, senza desideri, senza aspirazioni e senza speranze. Sorride in società e scrive versi, oppure riflette in solitudine. Afferma di non aver mai dovuto un centesimo a nessuno. Se si è sempre comportato in modo onesto, vuole che si sappia che lo ha fatto unicamente per vendicarsi delle virtù borghesi che nobilitano i proprietari ma screditano i poeti».
La redazione di una rivista cubana lo ricorda così: «È passato da noi Lascano Tegui, con il suo imponente fisico da uomo della pampa, il suo sorriso da boulevardier e lo sguardo scettico da globe-trotter. Ha portato a spasso una Kodak ciclopica per San Rafel e Galiano. E poi ci ha offerto una sontuosa ospitalità – due ore ricche di humour raffinato e di eleganti conversazioni – a bordo del Cap Polonio. Dalla visita di Lascano Tegui, uno dei primi a lanciare in Argentina il grido della nuova sensibilità, ci resta un ricordo persistente e un prezioso esemplare di De la elegancia mientras se duerme. Buon viaggio all’amico».4
Il suo esordio letterario va fatto risalire al 1910: una raccolta di poesie dal titolo La sombra de Empusa (con un luogo di pubblicazione falso: Parigi), che fu apprezzata nei ristretti circoli avanguardistici latinoamericani ma ignorata dalla critica accademica. Per vendicarsi il Visconte architettò uno scherzo che rivela il suo perfido gusto per la mistificazione e anticipa certe performance dei situazionisti: fece stampare un libro di poesie, Blanco, attribuendolo al figlio omonimo di Rubén Dario – stella cometa del nuovo gusto modernista – e colse decisamente nel segno: lo subissarono di elogi. Lui, imperturbabile e sornione, commentò: «Avevo ragione: l’etichetta del libro per loro valeva più di quello che conteneva».
De la elegancia mientras se duerme, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1925, sarebbe stato scritto prima del 1914. Il Visconte non diede alle stampe altre opere in volume fino al 1936, quando uscirono El libro celeste e Album de familia. El libro celeste riprende il carattere episodico e digressivo di De la elegancia mientras se duerme, ma è incentrato non più sulla tradizione culturale francese, bensì su quella argentina, mescolando una satira pittoresca con l’analisi sociologica, le etimologie di Isidoro di Siviglia con un’erudizione da enciclopedia medievale. Album de familia presenta un prologo narrativo di taglio poliziesco che serve come cornice introduttiva ai testi che seguono: l’ispettore di una compagnia di assicurazioni che indaga su un incidente ferroviario impiega vent’anni a preparare il suo rapporto, per scoprire che nel frattempo la compagnia è fallita e il suo lavoro di ricerca genealogica delle vittime risulta inutile. Satira del realismo documentario e del romanzo come specchio del mondo, Album de familia si presenta come una galleria di biografie immaginarie alla maniera di Marcel Schwob, e a differenza del Libro celeste costò molto tempo di lavoro all’autore. Nel 1945, durante un viaggio in nave scoppiò un incendio in cui andarono distrutte alcune opere inedite di Lascano Tegui: Mujeres detras de un vidrio, e El cactus y la rosa. Altre opere menzionate nel suo testamento non sono mai state ritrovate. È stata invece ripubblicata in volume una raccolta di scritti giornalistici, Mis queridas se murieron (Simurg, Buenos Aires 1997).
Sui motivi del silenzio calato per tanto tempo su questo «precursore dimenticato», il Visconte aveva la sua idea: «Conosco a fondo la strategia letteraria e la disprezzo. Mi fa pena l’ingenuità dei miei contemporanei e la rispetto. Inoltre ho la pretesa di non ripetermi mai, e di non chiedere in prestito glorie altrui, di essere sempre vergine, e questo narcisismo si paga molto caro».

 

Note

 

  1. Elegance de temps endormis, Traduction et Préface de Francis de Miomandre. Ripubblicato da Le Dilettante, Paris 1994.
  2. De la elegancia mientras se duerme, Prólogo de Celina Manzoni, Edición y contribución bibliográfica de Gastón Gallo, Ediciones Simurg, Buenos Aires 1995. Prima edizione: Excelsior, Paris 1925. Opere del Visconte sono state pubblicate in Germania, Francia, Belgio e Olanda.
  3. Traggo queste notizie dal bel saggio El precursor olvidado: el Vizconde Emilio Lascano Tegui di Maria Eugenia Faué, che ha pubblicato di recente anche una biografia dell’autore: Travieso Vizconde. La sonrisa alada, 2007.
  4. «Revista de Avance», L’Avana, febbraio 1928. Il brano è riportato nel prologo di Celina Manzoni, cit.

 

(Postfazione a De la elegancia mientras se duerme, titolo sfigurato dall’editore italiano in: Sogno senza fine.)

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3 thoughts on “Visconte Lascano Tegui, Un dandy della pampa

  1. Elisa Montanelli says:

    Il famoso titolo sfigurato di cui mi parlavi a Torino… Incuriosita dal dandy della Pampa, sarà una lettura dell’estate 🙂

  2. Buenos dias, os ha dicho alguien que vuestro blog puede ser adictivo ? estoy preocupada, desde que os recibo no puedo parar de mirar todas vuestras sugerencias y estoy muy feliz cuando recibo uno más, sois lo mejor en español, me encata vuestra presentación y el curre que hay detrás. Un beso y abrazos, MUCHAS GRACIAS POR VUESTRO TRABAJO, nos alegrais la vida.

    Saludos

  3. María Eugenia Faué says:

    Agradezco su gentil comentario y me pongo a su disposición para intercambiar
    textos.
    Cordialmente
    prof. Eugenia Faué
    Argentina

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