Approfondimenti, Damonte, Damonte approfondimenti

Juan Damonte, Ciao papà – Nota del curatore

chaupapaLa prima edizione di Chau papá fu pubblicata in Messico da Martínez Roca nel 1995 in una collana diretta da Paco Ignacio Taibo II, che alla morte dell’autore ha dichiarato: “Il romanzo mi capitò fra le mani e mi sembrò meraviglioso… È scritto in uno stile estremamente personale che di rado ho ritrovato in un autore, gli avvenimenti si succedono a una velocità incredibile. Juan Damonte era un narratore vertiginoso e dotato di grande immaginazione”.
Nel 1996, nell’ambito dell’annuale Semana Negra di Gijón, nelle Asturie, a Chau papá fu assegnato il Premio Internacional Hammett per il migliore noir in lingua spagnola e venne pubblicato anche in Spagna da Virus. Nel 1997 vi fu l’edizione francese nella prestigiosa Série Noire di Gallimard, e più recentemente, nel 2007, la traduzione in tedesco per la casa editrice svizzera Lateinamerikaverlag.

Il romanzo nel frattempo è diventato un cult per gli appassionati del genere, e secondo lo scrittore argentino Rolo Diez “Affermare che Chau papá è uno dei più bei noir scritti in spagnolo negli ultimi decenni è un semplice atto di giustizia”.
Che sia scritto “in spagnolo”, peraltro, è un eufemismo: prevalgono le particolarità linguistiche argentine e rioplatensi, come l’uso del voseo – il “voi” invece del “tu” –, tipico della parlata popolare. Damonte inoltre ricorre spesso a quella sorta di comunicazione cifrata che è il vesre, o revés: la permutazione delle sillabe di una parola per renderla irriconoscibile a prima vista. Così, la busta (sobre) di cocaina diventa breso, i grammi (gramos) mogras, e il Gordo (Ciccione) Dogor. I dialoghi poi sono infarciti di termini ed espressioni in lunfardo, gergo nato negli ambienti della malavita, nobilitato dai testi delle canzoni di tango ed entrato di prepotenza nel linguaggio colloquiale quotidiano, ed ecco che la polizia viene chiamata cana o yuta, la droga falopa, gli anni pirulos ecc. Per non parlare delle frasi colorite in italiano e in dialetto calabrese che costellano il testo.
Del resto l’originalità di Chau papá non si limita al piano linguistico: se sono ormai numerosi, infatti, gli scrittori che hanno affrontato, anche in chiave poliziesca e noir, gli anni bui della dittatura argentina, nessuno che io sappia ha scelto il singolare punto di vista di un malavitoso disincantato e cinico, per di più affetto da sdoppiamento di personalità. E se è vero che il noir è oggi il genere che meglio si presta a evidenziare e denunciare i mali della società, non sfuggiranno al lettore i meriti di un romanzo che lo guida attraverso i labirinti più cupi di quella realtà allucinante che è stata la storia dell’Argentina dal 1976 al 1983.
Nessuno si salva dallo sguardo amorale e impietoso di Carlos Tomassini, assoluto outsider destinato a morire per raccontarci la sua storia dall’aldilà: non certo i militari, o i preti, ma nemmeno gli improvvisati rivoluzionari, e men che meno la massa passiva e sempre pronta a trasformarsi in complice delle cosiddette “forze dell’ordine”. Un ordine che mostra il suo volto più autentico e atroce nelle discariche dove si accumulano i cadaveri mutilati dei desaparecidos.
Le informazioni di cui disponiamo sulla vita di Juan Damonte sono piuttosto scarse. In compenso, quelle numerose e significative sulla sua famiglia d’origine possono contribuire a gettare luce sulla genesi di Chau papá. Il cognome Damonte rivela un’ascendenza italiana, ligure; a quanto pare il bisnonno proveniva da Deiva Marina. Natalio Félix Botana, il nonno materno dell’autore, nel 1913, a soli venticinque anni, fondò a Buenos Aires il quotidiano Crítica, che arrivò a vendere un milione di copie, con cinque edizioni giornaliere, e rivoluzionò il giornalismo latinoamericano. Senza guardare troppo per il sottile quanto ai metodi: erano anni in cui le controversie con la concorrenza potevano risolversi in sparatorie fra opposte gang (Juan Damonte racconterà che da bambino veniva sempre accompagnato a scuola da un guardaspalle armato.)
Botana, che protesse gli esuli spagnoli antifranchisti, possedeva una sterminata residenza terriera con zoo privato, studi cinematografici e una villa lussuosa dove organizzava fastosi ricevimenti per ospiti illustri quali Pablo Neruda, Rafael Alberti e Federico García Lorca, oltre a vari capi di Stato latinoamericani e politici altolocati. Sposato con l’eccentrica Salvadora Medina Onrubia, poetessa anarchica e femminista dedita all’etere e alla morfina, collezionò comunque amanti famose come la cantante e ballerina Josephine Baker e Blanca Luz Brum, la moglie del pittore messicano David Siqueiros, mentre questi realizzava per lui un mural nella sua villa. Il capo della dinastia, fanatico del gioco d’azzardo, morì a cinquantatre anni in un incidente mentre guidava una delle sue tre Rolls Royce, lasciando un’ingente fortuna insieme a una pesante eredità, il possesso della testata giornalistica, che i figli non riuscirono a gestire (Crítica alla fine fu requisito da Perón).
Sua figlia Giorgina sposò Raúl Damonte Taborda, politico di idee radicali, deputato ed eminente figura intellettuale del fronte antifascista. In contrasto con Perón, prese la via dell’esilio dopo l’ascesa al potere del colonnello: prima a Montevideo e poi a Parigi.
Oltre a Juan, la coppia ebbe altri tre figli talentuosi, il più celebre dei quali è sicuramente Copi (soprannome assunto come nomme de plume), artista poliedrico e singolare che ha spaziato dalla caricatura alla scrittura drammaturgica, dal romanzo al racconto e alla recitazione teatrale, sempre animato da uno spirito caustico e ribelle, sempre scandaloso nell’esibizione della sua omosessualità. In Italia la rivista Linus pubblicò alla fine degli anni Sessanta le sue strisce con il personaggio della Donna seduta, e in seguito non sono mai mancate, fino ai nostri giorni, riprese dei suoi testi teatrali avanguardisti d’impronta surrealista.
È proprio questo fratello maggiore (morto di Aids nel 1987), al quale Juan Damonte era molto legato – ebbero contatti assidui fra il 1979 e il 1984, quando entrambi vivevano a Parigi –, che viene ritratto in Chau papá nel personaggio del “cugino Abel”.
I personaggi della dinastia Botana-Taborda, un’infanzia vissuta nel lusso, in un ambiente nel quale la cultura non era un semplice orpello (Juan Damonte parlava sei lingue), e poi lo sradicamento, la ribellione contro un sistema sociale e politico che offendeva il suo senso esasperato di giustizia, il rifiuto totale della burocrazia e delle regole, tanto da girare senza documenti, tutto questo si ritrova nell’atmosfera generale che pervade le pagine di Chau papá.
Lo scrittore messicano Tryno Maldonado, che conobbe Juan Damonte negli ultimi anni di vita, lo descrive come un “uomo alto e magrissimo, con la barba e i capelli completamente bianchi… una figura donchisciottesca”. Secondo Paco Ignacio Taibo II, “era un uomo singolare e assolutamente misterioso”. Francesca Gargallo, poetessa messicana di origini italiane che di Juan fu amica (lo spinse anche a terminare Chau papá e si interessò per la pubblicazione), racconta che aveva già scritto quaranta cartelle di un nuovo romanzo, battute su una vecchia Remington che si portava sempre appresso. Ma sono andate perdute, dimenticate su un taxi durante una sbronza colossale.
Per il resto, dobbiamo limitarci a registrare una discontinua attività di giornalista e fotografo freelance, prima in Argentina e poi in Messico, gli incarichi come traduttore per case editrici e organismi internazionali, l’insegnamento privato del francese e dell’inglese, oltre che del karate, di cui era un cultore. Alla fine degli anni Ottanta, Damonte meditava di rientrare a Buenos Aires, ma il progetto non si concretizzò mai. E poi l’alcolismo e i timori paranoici, ancora alla fine degli anni Novanta, di vendette da parte dei militari argentini. La pubblicazione di Chau papá, e i riconoscimenti che gli vennero da più parti, riuscirono a sottrarlo per qualche tempo alle pulsioni nichiliste, ma alla fine i suoi demoni l’ebbero vinta e scelse di condurre una vita al limite dell’indigenza, malgrado l’eredità famigliare non fosse del tutto prosciugata, fino alla morte solitaria a Nezahualcóyotl, una cittadina nelle vicinanze di Città del Messico, il 16 settembre 2005, a sessantun anni.

 

(Juan Damonte, Chau papà, Elliot 2009.)

Standard

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.