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I lipogrammi di Oscar de la Borbolla

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1.

Il lipogramma è un testo – poetico o in prosa – nel quale è stata deliberatamente omessa una lettera, o un gruppo di lettere, e di conseguenza tutte le parole che la contengono. Si tratta dunque di un’arbitraria scelta formale, e tale limitazione autoimposta può assumere un carattere particolarmente stringente quando la lettera scartata ricorre con frequenza nel lessico di una lingua. I dizionari classificano i lipogrammi come “artifici” o “esercizi” retorici e li ricomprendono sotto la categoria più generale dei “giochi di parole”. Le enciclopedie, dal canto loro, sono relativamente ricche di esempi che risalgono fino all’Antichità classica e non conoscono frontiere. Si menzionano infatti, fra l’altro, due 57riscritture lipogrammatiche (andate perdute) dell’Iliade e dell’Odissea, rispettivamente del III e del V secolo d.C., L’R sbandita sopra la potenza d’amore, poema di Vincenzo Ciminello Cardone, domenicano italiano del XV secolo, una raccolta di novelle del 1641, Varios effetos de amor en cinco novelas exemplares, dello spagnolo Alonso de Alcalá y Herrera, con l’omissione in ciascuna di una vocale, l’intera opera del poeta romantico tedesco Gottlob Burmann, da cui è assente la lettera R, il Voyage autour du monde sans la lettre A del francese Jacques Arago, del 1853, eccetera. Nell’America di lingua spagnola si può ricordare un racconto giovanile di Rubén Darío, “Amar hasta fracasar”,1 che prescinde da tutte le vocali eccetto la A. In ogni caso è nel Novecento che si assiste agli esperimenti più arditi, supportati da pregevoli sforzi di sistemazione teorica, segnatamente in Francia da parte del gruppo dell’Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle), con svariati contributi di alcuni dei suoi più importanti animatori: Italo Calvino, Raymond Queneau e soprattutto Georges Perec. Calvino ci ha lasciato un lipogramma che si potrebbe definire “vocalico progressivo”:

 

Aiuole obliate gialle d’erba, sa

un cupo brusio smuovervi, allusione

ad altre estati, cetonia blu-violetta,

enunciando noumeni oscuri: tutto fu,

sarà, ed è in circolo: dunque è sempre

presente nelle eterne senescenze

e effervescente d’ere, nel serpente

d’etere, seme, cenere, erbe secche2.

 

Partendo da “aiuole”, la più breve parola italiana che contiene tutte le vocali, queste vengono via via eliminate, e negli ultimi tre versi figura la sola E.
Un lipogramma figura anche negli Exercises de style di Queneau, pubblicato nel 1947 e poi ampliato nel 1969; il breve testo si priva della lettera E (che tuttavia fa diabolicamente capolino: «… puis il bondit sur un banc et s’assoit sur un strapontin…» 3 ). Sempre nel 1969, nel romanzo La disparition, di oltre 300 pagine, anche Perec fa sparire la lettera E, la più frequente nella lingua francese, che successivamente si prende però la rivincita in Les revenentes, del 1972, dove al contrario è l’unica vocale presente.
Autore di cruciverba e appassionato cultore di anagrammi, tautogrammi, palindromi, nonsense, calembour, e ogni sorta di jeux de mots, Perec ci ha lasciato anche una Histoire du lipogramme, di cui vale la pena citare per esteso qualche passo. «Preoccupata unicamente delle sue grandi maiuscole (l’Opera, lo Stile, l’Ispirazione, la Visione del Mondo, la Creazione ecc.), la storia letteraria sembra ignorare deliberatamente la scrittura come pratica, come lavoro, come gioco. Gli artifici sistematici, i manierismi formali (ciò che, in ultima analisi, costituisce Rabelais, Sterne, Roussel…) sono relegati in quegli archivi di manicomi dei letterati folli che sono le “Curiosità” […]. Le limitazioni vi sono trattate come aberrazioni, mostruosità patologiche del linguaggio e della scrittura; le opere a cui danno vita non hanno diritto allo status di opera: rinchiuse, una volta per tutte e senza appello, e spesso dai loro stessi autori, nelle loro prodezze e nella loro abilità, rimangono dei mostri paraletterari […]. La maggioranza di coloro, lessicografi, bibliofili o storici, che hanno parlato del lipogramma lo hanno in genere descritto come: “un gioco puerile”, “un vano Tour de force”, “una maniera di scherza re”, “una triste scemenza”, “a misplaced ingenuity”, “ein geistlöse Spielerei”» 4.
Perec si astiene dal polemizzare con questi pregiudizi – non ragioniam di lor, ma guarda e passa – per insistere invece positivamente sul fatto che la contrainte, lungi dall’essere un’aberrazione, costituisce un valido spunto per la creatività; come ha scritto Paolo Albani: «… amplifica le possibilità di arrivare a soluzioni originali, bizzarre, inattese, imprevedibili. Il costringersi a seguire determinate regole induce uno sforzo di fantasia, stimola l’invenzione di percorsi labirintici, di circumnavigazioni acrobatiche del linguaggio» 5. La rinuncia all’uso di certe parole e la necessità – per esprimere un concetto, o più semplicemente per descrivere un oggetto o suggerire un’immagine – di sostituirle con altre di analogo significato, o con perifrasi e metafore, fa riemergere termini sepolti dall’oblio, accende inattese scintille di senso, provoca cortocircuiti capaci di aprire prospettive inedite. In ultima analisi è la costrizione – vale a dire una regola formale, o un sistema di regole – a definire le condizioni di possibilità della libertà creativa. Come precisa Perec concludendo il testo già citato: «… la soppressione della lettera, del segno tipografico, del supporto elementare, è un’operazione più neutra, più netta, più decisiva, qualcosa come il grado zero della costrizione, a partire dal quale tutto diviene possibile» 6. (Sul tema si era già espresso Paul Valéry: «Le costrizioni, regole esteriori arbitrarie, obbligano a trovare relazioni e combinazioni situate fuori dal terreno spirituale creato dal bisogno immediato» 7. Ed è stato piuttosto icastico anche Umberto Eco: «Occorre crearsi delle costrizioni per potere inventare liberamente» 8).
Bisogna inoltre sfatare il mito della presunta insormontabile difficoltà insita nella scrittura di questi testi, che è tale solo per lettori completamente ignari delle innumerevoli possibilità combinatorie del linguaggio. In realtà, grazie al ricorso – sia pure con parsimonia – ad arcaismi, regionalismi, gerghi, termini stranieri, neologismi, deformazioni lessicali e altri “trucchi” analoghi, oltre che ai sinonimi e alle perifrasi, si dispone di un armamentario più che sufficiente per lanciarsi nel tour de force di comporre un lipogramma. Infatti sono numerosi gli appassionati che vi si dedicano, nelle più svariate lingue. E poi, c’è sempre la possibilità di trasgredire la costrizione, di liberarsene con uno scarto linguistico, un vero e proprio sberleffo al “dogma” che non poteva mancare nella cornice di una teoria sperimentale: quello che Perec, richiamandosi a Epicuro, ha chiamato clinamen. Come scrive Eco nell’“Introduzione” agli Esercizi di stile a proposito dei procedimenti di Queneau: «Queneau spesso gioca […] ovvero prende alla lettera l’enunciazione della regoa, e tradendo il senso della regola, ne trae un ulteriore motivo di gioco»9.
Altro è il discorso per quanto riguarda la qualità degli esiti artistici di questi esperimenti – non sempre eccelsa –, che si valuta soprattutto in base alla coerenza interna e alla pregnanza dei testi, nonché all’abilità di occultare l’artificio che ne norma la scrittura 10. Infatti, come scrive ancora Perec nell’Histoire du lipogramme: «Un acrostico, una rima baciata, un tautogramma sono sempre spettacolari mentre un lipogramma non si nota, tant’è che il più delle volte l’omissione è annunciata fin dal titolo. Un lipogramma che non si presentasse come tale (ma è concepibile?) avrebbe buone probabilità di passare inosservato» 11. A conferma di questa affermazione che a prima vista può apparire paradossale, sembra addirittura che un miope recensore del suo La disparition non si sia accorto dell’assenza della lettera E.

 

2.

I testi di Óscar de la Borbolla che costituiscono Las vocales malditas possono essere definiti lipogrammi multipli, monovocalici (o isovocalici), in quanto ogni volta vengono omesse ben quattro vocali e ne figura una sola. Secondo una classificazione proposta dall’Oulipo, rientrano quindi a pieno titolo nei cosiddetti lipogrammi «duri», vale a dire che presentano il maggior grado di difficoltà.
Tre di questi testi, i più lunghi (quelli incentrati sulle lettere A, E e O), sono narrazioni ben strutturate, con una trama e un’ambientazione precisa, personaggi a tutto tondo e persino una sorta di “morale”. Se l’ispirazione dei primi due è prevalentemente ludica, mediante la rivisitazione ironica di temi biblici e il ricorso allo humour nero, con “Los locos somos otros cosmos” si entra nell’horror puro, e le pennellate umoristiche si rarefanno in vista del finale da brivido; il lettore è immerso in un universo claustrofobico: questa sensazione avrà forse a che fare con il cerchio chiuso che rappresenta graficamente la O? O con le profonde risonanze fonetiche di questa vocale, che la frequente reiterazione nel testo amplifica a dismisura? Laddove invece nell’incipit della “Cantata a Satanás” compare la parola amaba, e nel finale amada, a esemplificare il senso di apertura implicito nel suono della A.
Come ha osservato l’autorevole critico letterario peruviano Julio Ortega, parlando di Las vocales malditas in un testo dedicato a Óscar de la Borbolla: «La vocale dominante sottrae al linguaggio la locuzione causale e la trasforma in un’altra versione delle cose. Si tratta di un altro modo di nominare all’interno dello stesso linguaggio, richiamando, nella sua fonetica arbitraria, un proposito ossessivo e sistematico, che assedia i significati con la sua ironia e la sua burla. Così, i significanti sono la parte leggermente perversa della significazione; non solo la sua via espressiva» 12.
“Mimí sin bikini” (nella traduzione ha dovuto indossarli, ma non si tratta di censura, bensì di uno dei tanti inevitabili “adattamenti” all’italiano) è un monologo rivolto a un interlocutore assente e muto per il lettore, ma non per la voce narrante protagonista, che riprende ogni volta la parola dopo i puntini di sospensione per difendersi e giustificare i propri atteggiamenti spregiudicati. Potrebbe trattarsi di una telefonata, della quale sentiamo solo la voce di uno dei due interlocutori. Anche questo testo presenta una notevole coerenza tematica e riprende la vena umoristica, declinata qui mediante il ricorso alle espressioni onomatopeiche tipiche del fumetto.
In “Un guru vudú” Óscar de la Borbolla si è preso tutte le libertà possibili nei confronti delle regole che definiscono un lipogramma – il clinamen di Perec cui si è accennato –, e non poteva essere diversamente, se si pensa allo scarsissimo numero di parole contenenti quest’unica vocale disponibili in spagnolo (e in italiano). Così, ha optato per utilizzare la U al posto di tutte le altre vocali, creando una lingua inesistente ma passabilmente comprensibile e comunque evocativa. E anche in questo caso è riuscito a costruire un racconto dal senso compiuto, che per certi aspetti somiglia fin troppo a un tragico resoconto di cronaca. Mi pare indubbio che qui la reiterazione della U, con le sue pregnanti risonanze, immerga il lettore in un mondo primitivo e brutale, i cui abitanti emettono grugniti invece che parole.
Per il resto, le direzioni in cui può condurre la lettura di Las vocales malditas sono imprevedibili almeno quanto le associazioni mentali che può accendere nelle sinapsi di ciascun lettore. Resta un interrogativo sul titolo: perché le vocali sono “maledette”? Secondo un amico dell’autore, messo di fronte a questa domanda de la Borbolla, dopo aver evocato motivi simbolici e teorici, ha aggiunto che sono “maledette” per la fatica che si fa da bambini a imparare a scriverle e a pronunciarle correttamente, quando poi servono, insieme al resto dell’alfabeto, solo per riempire pagine di giornali con articoli di bassa lega…

 

3.

Ha senso tradurre testi lipogrammatici? L’esistenza di svariate traduzioni di La Disparition di Perec – in inglese, tedesco, russo, spagnolo e italiano 13 – sembra rispondere in modo ampiamente positivo al quesito. Del resto, un lipogramma può già essere considerato una sorta di “tautotraduzione” nella stessa lingua a partire da un testo assente (quale potrebbe risultare da una versione che non si privasse della lettera eliminata). Risulta abbastanza evidente, d’altra parte, che in un caso del genere il concetto di “traduzione” deve ampliarsi per inglobare procedimenti di traslazione, trasposizione, ecc., e che il vetusto nonché discusso e discutibile principio di “fedeltà” 14 sia destinato a tramontare definitivamente, laddove per esempio si sia costretti (è il nostro caso) a tradurre manzana (mela) con ananas o banana, giusto perché serve un frutto che contenga solo la vocale A; va da sé che il gusto è diverso…
Alla richiesta dell’editore di tradurre Las vocales malditas, senza inebriarmi della baldanzosa retorica della sfida, e senza farmi troppe illusioni che sarebbe stato “divertente” – ero piuttosto preoccupato, direi comprensibilmente –, ho pensato che mettermi alla prova mi avrebbe insegnato, o forse “rivelato”, varie cose sul lessico delle due lingue in questione. Alla luce del risultato, chiedo venia e comprensione ai lettori che possono gustarsi l’originale; cercherò comunque di spiegare alcune difficoltà incontrate e alcune scelte sofferte ma inevitabili.
Anzitutto, c’è stata una fase iniziale di smarrimento assoluto: tentare un approccio alla traduzione facendo affidamento semplicemente alla memoria per individuare i termini utilizzabili mi è apparsa quasi subito come una missione impossibile. Quello che mi occorreva era un repertorio il più ampio possibile dei termini disponibili (tutte le parole e i verbi italiani che contengono solo la A, la E, ecc.), all’interno del quale scegliere di volta in volta quello che faceva al caso. Così l’ho approntato con pazienza e applicazione; e a quel punto credo di aver compreso sperimentalmente il concetto di “letteratura potenziale”. Quando non trovavo soluzioni plausibili o convincenti all’interno di questa griglia, dovevo allargare le maglie della contrainte ricorrendo a termini stranieri.
In particolare, lo scoglio più grosso incontrato nella traduzione della “Cantata a Satana” concerne i plurali di sostantivi e aggettivi, e gli infiniti dei verbi; in spagnolo le parole femminili in –a al plurale prendono semplicemente una s (-as), e i verbi della prima coniugazione terminano in –ar, mentre in italiano in entrambi i casi fa capolino la “e”, che tuttavia è stata proscritta… Per ovviare all’inconveniente senza rinunciare al plurale sono dovuto anzitutto ricorrere a un’espressione regionale – “‘na” al posto di “una” –, e per poter dare l’idea di pluralità senza appesantire troppo le enumerazioni (“‘n’altra, ‘n’altra…”) ho usato qualche volta le cifre (come anche in “Cosmo non ortodosso”), il che ovviamente autorizza i puristi a crocifiggermi.
A svariati prestiti dall’inglese del resto sono dovuto ricorrere sia per “L’erede” (stress, trend, the best) sia per “Mimí in bikini” (imprinting, flirt, lifting, shit) e “Cosmo non ortodosso” (shock, cross, strong). L’altro escamotage a cui ho fatto ricorso sistematico in questo racconto è l’uso delle parentesi e di qualche abbreviazione (prof., dott.) assenti nell’originale.
Infine, “Un guru vudù” è quello che ha presentato minori difficoltà, essendomi limitato a seguire il procedimento dell’autore, che usa sì solo la U, ma anche in sostituzione di tutte le altre vocali; si tratta indubbiamente della traduzione più “letterale” della raccolta, quasi una semplice trasposizione.
In conclusione, a lavoro finito ho dovuto ammettere che mi ero anche divertito – uno degli effetti, se non delle finalità, di questi testi è proprio il divertissement, oltre alla sorpresa e allo spaesamento – e naturalmente mi auguro che sia stato così anche per i lettori.

 

Note

 

  1. http://www.ciudadseva.com/textos/cuentos/esp/dario/amar.html
  2. Italo Calvino, “Poesia a lipogrammi vocalici progressivi”, in ID, Romanzi e racconti, III, Meridiani Mondadori, Milano 1985, p. 333.
  3. Raymond Queneau, Esercizi di stile, edizione con testo originale a fronte, traduzione di Umberto Eco, Einaudi, Torino 1983, p. 162. Umberto Eco, nella sua traduzione, ri-scrive il testo di Queneau in cinque diversi lipogrammi, eliminando una vocale in ciascuno; nel Secondo diario minimo, invece, ri-scrive dei versi di Montale in due serie di 5 lipogrammi, prima eliminando da ciascuno una sola vocale, poi usandone una sola per volta; operazione, quest’ultima, uguale a quella di Óscar de la Borbolla.
  4. Georges Perec, “Histoire du lipogramme”, in ID, La littérature potentielle, Gallimard, Parigi 1973, p. 75.
  5. Paolo Albani, “La contrainte e i pazzi letterari”, intervento al convegno su “Écritures et lectures à contraintes”, Cerisy-la-Salle, 14-21 agosto 2001 (www.paoloalbani.it/Cerisy.html).
  6. Georges Perec, “Histoire du lipogramme”, cit., p. 88.
  7. Cfr. Paul Valéry, Cahiers, II, Gallimard Bibliothèque de la Pléiade, Parigi 1974. Sono debitore di questa citazione e di acute riflessioni a un testo di Simona Mambrini, “La traduzione: una scrittura à contraintes. La disparition di Georges Perec, o la traduzione come palinsesto”, in ww.intralinea.org/archive/article/la_traduzione_una_scrittura_a_contraintes.
  8. Umberto Eco, “Postille a Il nome della rosa”, in calce a Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 2013, p. 589.
  9. Umberto Eco, “Introduzione”, in Raymond Queneau, Esercizi di stile, cit., p. IX.
  10. In questo senso appare insuperabile il già citato La disparition di Perec, la cui trama si costruisce appunto intorno al mistero della scomparsa della lettera E. Scompaiono infatti via via i personaggi che si avvicinano alla soluzione, come in un poliziesco, cosicché la contrainte diventa il centro assente del romanzo; nessuna arbitrarietà, dunque, ma assoluta compenetrazione fra la scelta formale e il senso della narrazione.
  11. Georges Perec, “Histoire du lipogramme”, cit., 87.
  12. Pubblicato su «El Nacional», Città del Messico, il 2 giugno 1993.
  13. La traduzione italiana, a cura di Piero Falchetti, è stata pubblicata con il titolo La scomparsa dall’editore Guida di Napoli nel 1995 e l’anno successivo ha vinto un premio a Monselice. Il 13 novembre 2011 si è tenuta una interessante tavola rotonda fra alcuni traduttori del romanzo in varie lingue; si può leggerne la trascrizione in francese qui: www.academia.edu/2645162/Traduire_La_Disparition_de_Georges_Perec.
  14. Scrive in proposito Eco nell’Introduzione agli Esercizi di stile, già citata: «Si trattava, in conclusione, di decidere cosa significasse, per un libro del genere, essere fedeli. Ciò che era chiaro è che non voleva dire essere letterali. […] Fedeltà significava capire le regole del gioco, rispettarle, e poi giocare una nuova partita con lo stesso numero di mosse» (p. XIX).
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4 thoughts on “I lipogrammi di Oscar de la Borbolla

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