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Acari o la guerra dei mondi

José Emilio Pacheco (1939-2014), di cui ho tradotto per le edizioni Sur i racconti delle raccolte Il vento distante (2014), Il principio del piacere (2015) e più recentemente l’antologia Ricordo e non ricordo (2020), che comprende anche il romanzo breve Le battaglie nel deserto, è stato soprattutto uno squisito poeta. Nella sua opera poetica, contenuta in gran parte nell’antologia Tarde o temprano (Poemas 1958-2009), pubblicata da Tusquets nel 2010, figurano molti testi che configurano un vero e proprio “Bestiario”, a partire da una sezione di No me preguntes como pasa el tiempo, del 1969, significativamente intitolata “Los animales saben”, traduzione di una frase di Samuel Beckett tratta da Come è (le bêtes savent). E a partire da lì saranno diverse le poesie di Pacheco che hanno per protagonisti gli animali, nel solco di una tradizione che risale almeno al secolo II o III della nostra era.

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José Emilio Pacheco – Le battaglie nel deserto

«Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti»: la celebre citazione di Porfirio Díaz, presidente messicano tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, si attaglia alla perfezione al padre di Carlos – il bambino di otto anni protagonista di questo splendido romanzo breve –, costretto a chiudere la sua fabbrica di sapone per la concorrenza dei detersivi statunitensi.

È il 1948, e la scuola di Carlos è frequentata da immigrati ebrei e mediorientali che durante la ricreazione riproducono le “battaglie nel deserto” condotte in quei giorni dai grandi. Il suo amichetto però è Jim, figlio di un americano e di Mariana, donna affascinante e chiacchierata. Carlos se ne innamora perdutamente e arriva persino a dichiararsi. La cosa viene risaputa e scoppia uno scandalo in famiglia.

Ci voleva un poeta (e che poeta! Premio Cervantes nel 2009) per condensare in così poche pagine il racconto di un amore impossibile, che segna anche il traumatico ingresso nel mondo ipocrita degli adulti, e questo mentre ci da un ritratto impressionista, con brevi e precise pennellate, dell’avvento della modernità a Città del Messico. Niente esotismi, comunque, anzi, alcune annotazioni risultano fin troppo familiari al lettore italiano di oggi: «Gli adulti si lamentavano per l’inflazione, i cambiamenti, il traffico, l’immoralità, il rumore, la delinquenza, il sovraffollamento, i mendicanti, gli stranieri, la corruzione, l’arricchimento osceno di pochi e la miseria di quasi tutti».

Dal 1981 il romanzo ha avuto innumerevoli riedizioni in Messico, ha ispirato un film e un brano della band Café Tacuba. La sua malinconica epigrafe potrebbe costituirne anche la conclusione: «Il passato è una terra straniera: fanno le cose in modo diverso laggiù». Per conoscere invece la visione che Pacheco ha del futuro dobbiamo ricorrere a una sua poesia:

A vent’anni mi dissero: «Bisogna / sacrificarsi per il domani». / E abbiamo dato la vita sull’altare / del dio che non arriva mai. / Mi piacerebbe ritrovarmi ora, alla fine, / con i vecchi maestri di allora. / Dovrebbero dirmi se davvero / tutto questo orrore di adesso era il domani.

 

(Pubblicato su Pulp n. 98, luglio-agosto 2012.)

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José Emilio Pacheco, Un falso d’autore

Celebre nel mondo nelle vesti di poeta pluripremiato, José Emilio Pacheco (199-2014) è conosciuto da noi presso il grande pubblico più che altro come romanziere (Le battaglie nel deserto, tr. di Pino Cacucci, La Nuova Frontiera 2012) e autore di racconti (Il vento distante, e Il principio del piacere, Edizioni Sur 2014 e 2015 rispettivamente, nella mia traduzione). Pacheco però si è disimpegnato con straordinaria bravura per decenni anche come saggista e giornalista culturale, soprattutto con la rubrica “Inventario”, nel supplemento di Excelsior, e poi sulla rivista Proceso. (Per chi conosce lo spagnolo, qui si possono leggere alcuni di questi interventi: http://www.proceso.com.mx/author/jepacheco, fra cui articoli dedicati a Carlos Fuentes, Sergio Pitol, Albert Camus, Charles Dickens e Antonio Tabucchi.)

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In memoriam di José Emilio Pacheco

«Non siamo cittadini di questo mondo ma passeggeri in viaggio verso la terra prodigiosa e intollerabile», scriveva José Emilio Pacheco in “Prosa de la calavera”, poema in prosa contenuto nella raccolta Los trabajos del mar (1979-1983). Ora il suo viaggio è iniziato – lo scrittore è deceduto il 26 gennaio in un ospedale di Città del Messico in seguito a una crisi cardiorespiratoria, all’età di settantaquattro anni –, a brevissima distanza dal suo caro amico Juan Gelman, argentino trapiantato da vent’anni nella capitale messicana, e il continente latinoamericano piange in questi giorni due grandi poeti.

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