Sul Diccionario de autores latinoamericanos di César Aira


Lettore compulsivo e onnivoro, per di più affascinato dall’idea della conoscenza enciclopedica, Aira non poteva risparmiarsi il piacere di fare un’incursione nella letteratura latinoamericana, escludendo i contemporanei, e dopo anni di appunti ha pubblicato nel 2001 il suo Diccionario de autores latinoamericanos con Emecé-Ada Korn editora. Come scrive nell’Avvertenza, si tratta di un “lavoro del tutto personale e domestico, l’accumulazione di commenti di lettura e annotazioni di un ricercatore appassionato”, che è un Dizionario “solo perché è ordinato alfabeticamente. Non aspira a essere esaustivo né sistematico. Anche se può essere di qualche utilità per lo studioso, si rivolge piuttosto al lettore, e in particolare ai cercatori di tesori occulti. È con questa intenzione che mi dilungo su scrittori sconosciuti o dimenticati, e molto di più sul passato che sul presente”. Segue un postscriptum, in cui l’autore spiega che il manoscritto è rimasto in un cassetto per quindici anni. In realtà, al momento, le voci che ho tradotto riguardano i premi Nobel latinoamericani e gli autori che sono entrati nel catalogo della casa editrice Sur, ma in futuro conto anche di presentare alcuni dei “tesori occulti” di cui parla Aira.

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Aira su Virgilio Piñera

Virgilio Piñera nacque a Cárdenas, Matanzas (Cuba) nel 1912, figlio di un agrimensore e di una maestra. La sua famiglia visse a Guanabacoa e Camagüey, sempre in difficili condizioni economiche. Nel 1940 Piñera iniziò gli studi di Lettere e Filosofia all’Avana (la sua tesi di laurea, mai presentata, era su Gertrude Gómez de Avellaneda). Nel 1941 pubblicò il suo primo libro, di poesia, Las furias. Dello stesso anno è la sua prima opera teatrale, Electra Garrigó, un’anticipazione del “teatro dell’assurdo” nonché uno dei suoi migliori lavori. (La ARTYC, Agrupación de Redactores Teatrales y Cinematográficos la mise all’indice e per parecchi anni non venne più messa in scena.) In quel periodo cominciò anche a collaborare alla rivista Orígenes. Nel 1943 pubblicò La isla en peso, lunga e straordinaria poesia i cui versi iniziali, “La maledetta circostanza dell’acqua da ogni parte / mi obbliga a sedermi al tavolo del caffè”, danno un’idea compiuta dell’atmosfera di tutta la sua opera. Il suo perfetto oppositore all’interno del gruppo di Orígenes, di cui Piñera in realtà non fece parte, il cattolico e lirico Cintio Vitier, lo descrisse come “poeta freddo della desolazione fisica e dalle nefaste meditazioni”, che, tolta l’antipatia che trasmette, è una buona definizione. Nei volumi El conflicto (1942) e Poesía y prosa (1944) comparvero i suoi primi racconti. El secreto de Kafka (1945) è di carattere saggistico (Piñera non riunì mai in volume i suoi numerosi ed eccellenti saggi e articoli).

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Aira su Lezama Lima

José Lezama Lima nacque nell’Accampamento Militare di Columbia, Cuba, nel 1910; suo padre era colonnello, ingegnere d’artiglieria, e morì prima che il bambino compisse i dieci anni. Visse con la nonna materna fino al 1929, quando il poeta e sua madre, Rosa Lima, che ebbe grande influenza nella sua vita, si trasferirono nella casa di calle Trocadero 162, dove avrebbe sempre vissuto da allora. Studiò diritto e incominciò a scrivere poesie. Una volta laureato, lavorò in uno studio legale. Simultaneamente pubblicò il suo primo libro e fondò la sua prima rivista; il libro è Muerte de Narciso (1937), un solo poema nel quale si coniugano le influenze di Valéry e Góngora e già si intravede il poeta unico e originalissimo che fu; la rivista, Verbum, seguita in rapida successione da Espuela de Plata e Nadie Parecía, e alla fine, in collaborazione con José Rodríguez Feo, Orígenes, nel 1944, di cui uscirono 40 numeri fino al 1957 e che ebbe grande influenza nella letteratura e nella cultura cubane. Dopo la Rivoluzione, Lezama ebbe un incarico ufficiale nel settore dell’editoria e vide crescere la propria fama in seguito alla pubblicazione del suo unico romanzo, Paradiso (1967). Nel 1964 morì sua madre e poco dopo lui sposò Maria Luisa Bautista. Soffriva d’asma fin dall’infanzia e il clima dell’Avana non gli era favorevole, ciononostante non lasciò mai la città; in tutta la sua vita fece solo due brevi viaggi, in Messico e in Giamaica, ma in entrambi i casi si trattò di gite di pochi giorni. Era un uomo immensamente grasso, affezionato al cibo, al bere e ai sigari. Non fu tra gli autori più favoriti dalla critica ufficiale nel suo paese. Morì nel 1976.

La sua opera abbraccia la poesia, la narrativa e la saggistica. In realtà fu un poeta che scrisse un unico romanzo totalizzante, summa della sua opera precedente; e poi la sua continuazione, che rimase inconclusa, e una manciata di racconti; anche i suoi saggi sono tipici di un poeta, indifferente alla verità di ciò che dicono, attento solo al concatenarsi musicale del pensiero. Fu il barocco per eccellenza, il più grande dei discepoli di Góngora, poeta erudito, appassionato, oscuro e infallibilmente stupefacente. Dopo il poema iniziale seguirono Enemigo rumor (1941); Aventuras sigilosas (1945), curioso romanzo in versi; La fijeza (1949), libro della piena maturità, con poesie straordinarie come “Pensamientos en La Habana”, “Rapsodia para el mulo” o “El arco invisible de Viñales”; e Dador (1960), libro voluminoso con i suoi più grandi (e più ermetici) poemi, fra cui “Para llegar a la Montego Bay”, il ciclo di sonetti “Venturas criollas”, l”Himno para la luz nuestra”, “El coche musical”, “Recuerdo de lo semejante”, “Nuncupatoria de entrecruzados”. Nel 1970 uscì la sua Poesía completa, che aggiungeva ai libri precedenti alcune poesie mai raccolte in volume. Dopo la sua morte fu pubblicato Fragmentos a su imán (1977), che raccoglie poesie scritte fra il 1970 e pochi giorni prima della morte, all’altezza delle sue migliori.

Nella rivista Orígenes comparvero alcuni capitoli del romanzo Paradiso, che ebbe una lunga preparazione e fu pubblicato finalmente nel 1967, fra le lodi generali. Autobiografico, proustiano, erudito, omosessuale, rapsodico, squilibrato, non assomiglia a nulla, se non al resto dell’opera di Lezama Lima. È un romanzo di formazione, la storia della giovinezza di un poeta, che sfocia in un segreto iniziatico di impenetrabile ermetismo. Allo sviluppo di quel segreto era dedicata la continuazione, di cui sono rimasti solo frammenti, pubblicati nel 1978 (in un’edizione approssimativa e, con tutta evidenza, deficiente) con il titolo Oppiano Licario.

La sua opera saggistica, inesauribile per la ricchezza dello stile e per le fantastiche interpretazioni della storia e delle arti del mondo, e con momenti altissimi, come la serie Las eras imaginarias, o i suoi due manifesti poetici, “Introducción a un sistema poético” e “La dignidad de la poesía”, o il suo insuperabile omaggio al maestro, “Sierpe de don Luis de Góngora”, non è stata riunita in modo conveniente. Si può leggerla, dispersa e a volte inaccessibile, in Coloquio con Juan Ramón Jiménez (1938), Arístides Fernández (1950), Analecta del reloj (1953), La expresión americana (1957), Tratados en La Habana (1958), La cantidad hechizada (1970), Introducción a los vasos órficos (1971), Las eras imaginarias (1971): questi ultimi, salvo piccole differenze, riprendono gli stessi materiali.

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Juan José Arreola di César Aira

Nacque nel 1918 a Ciudad Guzmán, Stato di Jalisco, Messico [morì a Guadalajara nel 2001, dopo la pubblicazione del Diccionario de autores latinoamericanos di Aira; ndt]. Non fece studi regolari. In gioventù visse a Guadalajara e a Città del Messico, esercitando mestieri modesti e dedicandosi al teatro, che era la sua passione più grande, e studiò con Rodolfo Usigli e Xavier Villaurrutia, ma già allora scrisse alcuni racconti (nel 1943 pubblicò uno di quelli che avrebbero formato il suo primo libro, Hizo el bien mientras vivió, su una rivista di Guadalajara). Nel 1945 si recò in Francia per studiare teatro, con il patrocinio di Louis Jouvet, che aveva conosciuto a Guadalajara. La permanenza in Francia fu breve. Al suo ritorno cominciò a lavorare presso la casa editrice Fondo de Cultura Económica, dove la correzione delle bozze completò la sua formazione umanistica, e la redazione delle quarte di copertina gli insegnò la concisione, che sarebbe diventata una delle caratteristiche salienti del suo stile. In seguito fu conduttore televisivo e tenne un laboratorio di scrittura e una rivista con lo stesso nome, Mester, dove passarono molti nuovi scrittori messicani, così come nelle collane che diresse: Los Presentes, Cuadernos del Unicornio e altre. Tutti hanno sottolineato la sua intelligente ed entusiastica promozione delle giovani vocazioni. Quanto alla sua opera personale, Arreola fu fondamentalmente uno scrittore di racconti, con un profilo molto singolare. Più che racconti, le sue sono «invenzioni», come le ha chiamate lui stesso, e meritano questo nome. Le ha raccolte in Varia invención (1949), Confabulario (1952), poi un’unica edizione rivedute delle due, con nuovi racconti, fra cui uno dei più perfetti e inquietanti che abbia scritto, La mujer amaestrada. Poi è stata la volta di La hora de todos (1954), Punta de plata (1958), Bestiario (1959), e Confabulario total(1962), che amplia la precedente edizione. Palíndroma è del 1971, e Confabulario personal del 1980. La Feria (1963) è un eccellente e divertente romanzo (l’unico che scrisse) del genere «studio di un paese del profondo Messico», un romanzo collettivo e plurale, privo di un centro, quasi un insieme di vignette che formano serie tematiche o seguono un personaggio, oppure restano isolate; l’asse tematico è la festa con cui si celebra San José, patrono del paese (che non è altro che Zapotlán el Grande, nome del luogo di nascita dell’autore); la festa viene sabotata e fallisce miseramente nell’ultima pagina, il che costituisce un’ulteriore ironia della sociologia umoristica di Arreola.

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Roberto Arlt di César Aira

Roberto Arlt, il più grande romanziere argentino, nacque a Buenos Aires nel 1900, figlio di immigranti giunti da poco nel paese, il padre tedesco e la madre tirolese di lingua italiana. L’ambiente domestico era poverissimo, il padre abbandonò la famiglia per certi periodi e non ebbe un buon rapporto con il figlio, a differenza di quanto accadde alla madre, donna sensibile e piena di immaginazione che praticava lo spiritismo. Secondo quanto affermò lui stesso, Arlt fu espulso «perché buono a nulla» dalle scuole che frequentò. Abbandonò giovanissimo la casa paterna e fece vari lavori modesti: commesso di libreria, apprendista lattoniere, meccanico, venditore a domicilio. Trascorse un paio d’anni nella provincia di Córdoba. Poco dopo aver compiuto vent’anni si sposò e si insediò sulle montagne di Córdoba (la moglie era malata di tubercolosi).

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Miguel Ángel Asturias di César Aira

Miguel Ángel Asturias nacque in Guatemala nel 1899 da una famiglia ricca e in vista. Si laureò in Giurisprudenza nella sua città natale e poi studiò Antropologia e Preistoria americana a Parigi, con George Raynaud; visse nella capitale francese negli anni Venti, e lì realizzò una traduzione del Popol-Vuh a partire dalla versione al francese di Raynaud e scrisse il suo primo libro importante (preceduto da altri di poesia), Leyendas de Guatemala (1930), nel quale sfoggia già il suo ricchissimo stile barocco, con elementi estranei alla lingua spagnola derivati dall’idioma e dal pensiero maya. Al suo ritorno in patria scrisse quello che sarebbe diventato il suo romanzo più famoso, El señor Presidente, che si ispirava alla cruenta e carnevalesca dittatura di Estrada Cabrera, caduta nel 1921. Per motivi di carattere politico il romanzo poté essere pubblicato soltanto nel 1946 e a quel punto significò la consacrazione del suo autore. Si è ricordato il precedente di Valle Inclán con Tirano Banderas, ma Asturias supera di gran lunga il modello, che da semplice caricatura esotica, fredda e artificiosa, si trasforma in un tragico incubo di formidabile vigore stilistico. Ancora migliore è il suo libro successivo, Hombres de maíz (1949), poetica visione della miseria e del misticismo dei contadini guatemaltechi. I suoi tre romanzi successivi formano un ciclo nel quale le posizioni antimperialiste dell’autore raggiungono la massima virulenza: Viento fuerte (1950), El Papa verde (1954) e Los ojos de los enterrados (1960); a cui bisogna aggiungere il volume di racconti Week-end en Guatemala (1956). Le denunce nei confronti della Cia, dei nordamericani in genere e in particolare contro la compagnia United Fruit sono riversate nella magnifica prosa di Asturias, fra lo spagnolo e il cakchiquel, e sempre con grande maestria narrativa.
Nel 1954, alla caduta di Jacobo Arbenz, Asturias dovette prendere la via dell’esilio e andò in Argentina; visse dieci anni a Buenos Aires e si trasferì in Europa dopo un incidente poliziesco durante la repressione anticomunista del governo fantoccio di Guido. La sua produzione cambiò tono e la qualità letteraria diminuì sensibilmente; si caratterizzò sempre di più per un esotismo di carattere turistico, per le nostalgie giovanili, i luoghi comuni magico-religiosi e una crescente confusione generale. Le sue ultime opere sono El alhajadito (1961), Mulata de tal (1963), El espejo de Lida Sal (1967), Maladrón (1969), Viernes de Dolores (1972), Tres de cuatro soles (1977). Nel 1967 ottenne il premio Nobel per la letteratura. Negli ultimi anni di vita fu diplomatico e morì a Madrid nel 1974.
Le sue poesie giovanili sono riunite in Sien de alondra (1948) e quelle della maturità in Clarivigilia primaveral (1965). Fu un poeta classico, spoglio, e predilesse il sonetto (un libriccino pubblicato a Buenos Aires si intitola Ejercicios poéticos en forma de soneto sobre temas de Horacio, 1952). Il suo stile più personale si manifesta nelle traduzioni di poesia indigena: Poesía precolombina, 1960. I suoi saggi sono stati riuniti in América, fábula de fábulas (1972) e El adjectivo y sus arrugas (1981).

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