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Xaimaca di Ricardo Güiraldes

Postfazione

Come si potrebbe classificare il libro che il lettore ha fra le mani? “Romanzo” è forse una definizione troppo impegnativa, e non ci si riferisce alla sua brevità: abbiamo tre soli personaggi, una trama esile, e gli aneddoti evocati, niente affatto straordinari, sono piegati all’esigenza suprema della creazione di un’atmosfera, piuttosto che a un vero e proprio sviluppo narrativo. Allora, è il racconto diaristico di un viaggio? In effetti, così si presenta a un primo sguardo: non mancano le date, la menzione dei porti di scalo, la descrizione dei mutamenti del paesaggio, la notazione della diversità dei tipi umani incontrati lungo la rotta; ma tutti questi dettagli, in fondo, costituiscono solo il contrappunto dei cambiamenti d’umore e delle sensazioni di Marcos, la voce narrante. Non si tratterà invece del puntuale resoconto, dapprima vagamente svogliato e perplesso e poi sempre più ispirato e convinto, di un innamoramento (o di una fatale infatuazione)? O dobbiamo piuttosto pensare di aver letto una miscellanea di note sparse, una collezione di istantanee dal sapore vagamente esotico, le spensierate digressioni di un bon vivant cosmopolita, legate da un sottilissimo filo narrativo?

Le opzioni di cui disponiamo sono varie e abbastanza plausibili, ma bisogna considerarne un’altra: Xaimaca non è, anche, essenzialmente, per gran parte del testo a esclusione dei dialoghi, una raccolta di versi in prosa?

Questi interrogativi rimandano a una problematica di stretta attualità: l’appartenenza (o meno) di un’opera a un genere ben definito, e la decisione di alcuni scrittori spericolati di oltrepassare i confini fra i generi per scoprire forme narrative inedite. Forse sorprenderà i “non iniziati” – nel senso dei “lettori comuni”, esclusi ovviamente gli accademici e gli studiosi di letteratura – rendersi conto che questa sperimentazione è in auge da tempo, almeno da un secolo, grosso modo, e che attrasse, insieme alle avanguardie europee degli anni Venti del secolo scorso, anche Ricardo Güiraldes.

Argentino, classe 1886, di origini familiari aristocratiche, trascorse a Parigi la prima infanzia e imparò il francese prima dello spagnolo. L’altra esperienza fondamentale nell’infanzia e nell’adolescenza furono i periodi estivi trascorsi nella campagna argentina, a contatto con quei gauchos che avrebbe ritratto successivamente nelle sue opere – in particolare nel suo capolavoro, Don Segundo Sombra –, nel solco di una tradizione che annovera il Facundo di Domingo Sarmiento e il Martin Fierro di José Hernandez.

Per apprezzare l’assoluta modernità di Xamaica in tutta la sua ampiezza, l’afflato avanguardistico da cui è pervaso, occorre considerare la data di pubblicazione (avvenuta dietro insistenza della moglie dello scrittore, Adelina del Carril, cui è dedicato): il 1923. Un anno prima Borges, insieme a Macedonio Fernandez e Ricardo Güiraldes, più anziano di una quindicina d’anni, fondava la rivista Proa, che nelle sue varie edizioni divenne luogo di raccolta di numerosi scrittori latinoamericani dell’epoca e si caratterizzò, a differenza di tante riviste avanguardistiche, per il pluralismo delle voci e l’assenza di polemiche e atteggiamenti settari.

La stesura di Xaimaca però era iniziata già nel 1916, e il manoscritto viaggiò per anni seguendo i vagabondaggi dell’autore – Europa, Medioriente, Russia, India e Giappone, ma anche Cuba, le Antille e la Giamaica –, e crebbe fino a raggiungere le seicento pagine, poi via via ridotte all’osso mediante successive cancellature, riscritture, e un lento e ostinato lavoro di condensazione. Nel frattempo Güiraldes pubblicava i romanzi Raucho e Rosaura e scriveva Don Segundo Sombra, per il quale è universalmente noto, e che sarebbe uscito soltanto nel 1926, un anno prima della sua morte.

Raucho narra le disavventure del figlio di un latifondista che, dopo aver vissuto in campagna, conduce un’esistenza debosciata a Parigi, tanto da essere diseredato dal padre. Un vecchio amico che lo raccoglie in un ospedale gli offre un incarico di responsabilità nella sua tenuta: il reincontro con la natura ridarà speranza a Raucho. La protagonista eponima del romanzo Rosaura, invece, è una romantica ragazza di umili origini – “rappresenta l’anima del popolo”, secondo l’autore – che s’innamora di un forestiero giramondo, ma il disinganno e il crollo dei sogni di emancipazione la spingeranno al suicidio. Se Raucho trova una via di riscatto nel ritorno alla vita campestre, per Rosaura, che si è spinta troppo lontano con le sue fantasie di evasione, non c’è possibilità di ritorno. In entrambi questi romanzi, ma soprattutto nel primo, è facile ravvisare elementi autobiografici: Güiraldes, in effetti, trascorse a Parigi una stagione segnata da una frenetica vita sociale e dalla ricerca del divertimento, durante la quale si affievolì la sua vocazione letteraria.

È comunque significativo che fra le sue opere Güiraldes abbia sempre continuato a preferire proprio Xaimaca, malgrado l’iniziale accoglienza piuttosto tiepida, che gli causò penose delusioni, come del resto gli era già capitato in precedenza, quando aveva pubblicato le poesie di El Cencerro de Cristal e i racconti di Cuentos de muerte y de sangre. In Xaimaca, infatti, vedeva la concretizzazione più riuscita delle sue raffinate teorie estetiche: un degno omaggio all’amato Mallarmé e al simbolismo francese, da cui è stato indubbiamente influenzato. E la critica in seguito ha segnalato che Xamaica somiglia a un dipinto impressionista: come nell’impressionismo, ci si lascia alle spalle la pura e semplice riproduzione della realtà e si sperimentano nuove forme compositive. “Sto creando un racconto fantastico. La mia vita compone un poema per elevarsi al rango di vita piena.”

Xaimaca mette in scena una filosofia della passività, della resa all’ambiente circostante e al trascorrere del tempo e degli spazi, dove si dissolve anche la soggettività romantica. “Il tempo, umiliato dalla mia disattenzione, è caduto dietro chissà quale orizzonte.” All’inizio Marcos teme di cadere in “romanticherie da viaggiatore senza nerbo”, poi pensa di essere diventato “un balordo romantico di quarta categoria”, e della luna dice che “si impegna a rovesciarci addosso le infinite pallide frasi di cui è stata omaggiata dalla letteratura romantica”. E quando si arrende all’amore per Clara, confessa: “Non so più di chi sono i sentimenti che provo”, e vive l’idillio come una sorta di trance mistica, ben oltre l’attrazione fisica e spirituale: è la liberazione dalle catene del soggetto. “La volontà, che avrei voluto fortificare fino a farla diventare il centro della mia personalità, fluttua dentro di me come il detrito di un naufragio in fondo al mare.”

Güiraldes dunque lascia spazio all’irruzione di una parola poetica precisa, una vera e propria musica verbale. Assistiamo così a un proliferare di metafore che impreziosiscono il testo: i cipressi sono “inevitabili escrescenze del lutto”, “angeli custodi dei nostri futuri cadaveri, coniche orazioni, squallidi obelischi…”; i delfini, “inoffensivi pagliacci sottomarini che saltano una corda immaginaria”; un hotel sulla cima di una collina è “un falso aristocratico che impone al popolo il suo dominio”; i “grandi lampi di risate bianche” dei neri sono “un privilegio di chiarezza che per noi è impossibile”; il silenzio, “un’esalazione della terra bruciata”. E gli innumerevoli paragoni, introdotti dal “come” o dal verbo “sembrare”, sono invariabilmente suggestivi, mai gratuiti, e riservano gradite sorprese al lettore: Xamaica, la terra della primavera, dalla nave appare a Marcos “come un enorme avocado su un vassoio smaltato d’azzurro”; l’aria è “come una droga che invita a vivere con indolenza, come la frutta che matura al sole”; e “guardare molto lontano è un po’ come chiudere gli occhi”; “la strada è così rossa che sembra tagliata nella carne”; “sembra che la notte voglia lamentarsi”…Ebbene sì, a un secolo di distanza dalla sua pubblicazione, e per chissà ancora quanto tempo, possiamo dire che Xaimaca si legge con estremo piacere proprio perché è poesia in prosa, “in punta di penna”, secondo la modesta definizione dell’autore.

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